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“La vita è fatta di una ricerca di definizione della propria identità”. Quello sguardo in macchina di Luciana Castellina, nel film di Daniele Segre intitolato ’Luciana Castellina, comunista’, è lo sguardo. Chiede conto a sé, prima che al resto. Ecco perché, in un momento così delicato per la politica e le istituzioni italiane, è possibile cogliere l’opportunità della sua opinione. Quella di una personalità che non rinuncia a guardare, anche mentre la politica – secondo alcuni – sembra non vedere più.

All’inizio del mandato, l’attuale presidente del Consiglio si è fregiato di ricoprire il proprio ruolo fuori da logiche di partito. In questo senso, ha anche misurato la popolarità. È ancora così?

Beh… direi che è ulteriormente aumentato l’odio verso i partiti. Un fatto curioso, visto che dopo aver ’scoperto’ il tecnico Mario Monti è emersa tutta l’impossibilità di considerarlo fuori dalla politica. Monti è dentro la politica, dentro le logiche di equilibrio tra i partiti, a partire dalla sua designazione che è stata il risultato di un accordo tra partiti; per questo, egli non può andare né a destra né a sinistra senza l’approvazione di quanti gli hanno dato e gli danno la maggioranza in Parlamento. Il suo appeal è calato, non solo a causa del carattere impopolare delle misure che ha preso, ma anche perché la gente ha scoperto che non è vero che un ’tecnico’ è al di sopra delle parti.

A tuo giudizio, quale strada ha intrapreso Monti, nel ricoprire il suo ruolo? Quella del politico che tesse, giorno dopo giorno, la propria tela? O quella dell’amministratore delegato che valuta gli azionisti esclusivamente per la quantità del loro peso e non per la qualità che esprimono?

È chiaro che Monti non guarda alla quantità ma a un settore specifico degli azionisti che – tra l’altro – non sono affatto la maggioranza. Se dovesse guardare alla maggioranza degli azionisti – e considerato che ’azionisti’ del governo Monti possono essere il 90% degli italiani, in nome della rappresentanza che hanno in Parlamento – dovrebbe fare un’altra politica. Monti è attento a rappresentare gli interessi forti che sono quelli che ha sempre rappresentato nella sua vita.

Un esecutivo che, giorno dopo giorno, consolida come quasi unica prospettiva di governabilità quella della ’Grosse Koalition’ a cosa ti fa pensare? Alto senso democratico? Massima compromissione e, dunque, controllo e potere d’influenza? Cosa?

Guarda, possono anche esserci momenti della storia in cui si forma una maggioranza che agisce ’in emergenza’. Questi momenti, però, provocano spesso grandi pasticci, perché ci sono interessi contrastanti che, proprio in nome della grande emergenza, si costringono a trovare una mediazione solo ad altissimo livello. Se, però, ci riferiamo all’esecutivo Monti, non mi sembra questo il caso. Sarebbe sempre meglio avere chi governa e chi si oppone, ma con una libera dialettica di critica che altrimenti scompare.

E che in questo momento è assente?

In questo momento è largamente assente.

Dovremmo essere in una Repubblica parlamentare. Quello che viene indicato come un deterioramento di senso delle assemblee elettive, ti sembra conseguenza di un disegno condotto negli anni o, al contrario, il risultato di contingenze imprevedibili?

Direi che sono tutte e due le cose insieme. Per un verso c’è disamore per la democrazia, perché la democrazia si è talmente impoverita che la gente non capisce nemmeno più a cosa serva. Si sente dire “ma a me cosa serve la democrazia”, oppure “la democrazia costa troppo”, o ancora “perché devo pagare tanti soldi perché ci sia qualcuno in Parlamento che chiacchiera… io, eventualmente, i problemi me li risolvo da solo”.

Con tutte le ragioni di questo mondo, non ti sembrano considerazioni gravi?

Certo, è un fatto molto grave, perché significa arretrare verso forme di protesta diretta, rinunciando alla mediazione politica, che è una forma più alta di democrazia. Vedi i camionisti in Sicilia, o i tassisti a Roma. È innegabile: siamo al cospetto di un imbarbarimento e un disamore per la democrazia molto pericolosi, perché possono aprire la strada all’avvento di qualsiasi uomo-forte, populista. Ovvio, se si guarda allo stato odierno delle cose, non si tratta qui del caso di Mario Monti, che è ben altro tipo di personaggio. Venendo però alla tua domanda precedente, è anche vero che tale situazione è stata generata con la responsabilità dei partiti politici, che sempre più hanno operato per ridurre e minimizzare la democrazia.

Ok, ma – in questo senso – cosa della democrazia è stato ridotto?

La democrazia non si risolve in quattro regole parlamentari. La democrazia è la politicizzazione della gente – prima di tutto – poi la partecipazione; e, bada bene, non la partecipazione come ’un voto ogni quattro anni’. Partecipazione è la partecipazione costante alla cosa pubblica, all’assunzione di responsabilità, il sentirsi soggetto: tutto questo è stato talmente mortificato che altro non possiamo raccogliere se non disamore per la democrazia. Tu mi hai chiesto: è stato un piano o meno? È vero che, da molto tempo, a livello di Commissione Europea si parla sempre più di una ’democrazia post-parlamentare’, nel senso che emergono i seguenti fattori: che i problemi sono vieppiù complicati, che per risolverli servono più ’tecnici’ e non altro, che la democrazia e il parlamentarismo vanno bene solo per regolare la vita delle comunità locali, non per i grandi affari nazionali ed internazionali. Non si può non guardare tale tendenza. Ciò mi fa dire che siamo entrati in una fase diversa, e che non si può pensare di invocare il vecchio parlamentarismo ’punto e basta’; o si riesce a costruire una democrazia partecipata, reale – e, ripeto, la politicizzazione, la cultura politica di ogni cittadino è la condizione per questo – o, se no, è fatale che inceda l’arretramento democratico.

Quali sono oggi – se ritieni sia possibile individuarli sufficientemente – i connotati delle ’classi sociali’?

La società continua a essere divisa in classi sociali, non c’è dubbio. La pretesa che non esistano più classi sociali è un’assurdità. Tra l’altro, è evidente la portata degli interessi contrastanti in gioco. Bene sarebbe se tali interessi trovassero rappresentanza politica. Senza rappresentanza politica non si ottiene che imbarbarimento, mentre è necessaria una dialettica democratica tra interessi diversi. Al contempo, mi sembra lampante quanto oggi siano sacrificati gli interessi delle classi subalterne, non certo quelli delle classi dominanti.

D’accordo. Vedi, però, una divisione in classi così netta e chiara?

Certo, non c’è più una divisione com’era un tempo: la classe operaia, i contadini, gli imprenditori industriali, i proprietari terrieri. Oggi la diversificazione è molto profonda, per un verso, ma – contemporaneamente – l’omologazione di alcune condizioni è incessante. L’estendersi del precariato, per esempio, allinea nelle stesse condizioni operai-precari, laureati-precari, impiegati-precari. Quindi, ci troviamo di fronte a una omogeneizzazione – per un verso – e un’articolazione sempre più accentuata – per altro verso – in termini di cultura, capacità, tecniche, abitudini, tradizioni.

Quali organismi, oggi, ti sembrano in grado di cogliere e affrontare il nodo della rappresentatività? Chi parla a nome di un generico gruppo di interesse? Chi si fa tutore di istanze della cosiddetta “società civile”, che vorrei capire, in fin dei conti, cos’è…

Parto dalla tua ultima considerazione. Anche questa è una tendenza perniciosa. Primo, perché c’è una sacralizzazione della società civile, mentre il problema non è l’espressione immediata della società civile.

E quale sarebbe il problema?

Il problema è coinvolgere la società civile in un progetto politico che richiede progettualità, cultura, leadership, selezione di dirigenza.

Cioè un partito?

Quello che sono stati i partiti nella loro espressione più alta di democrazia.

Come catalizzatore di tale espressione più alta, può bastare il richiamo al rispetto delle regole?

Certamente no. Cosa vuole dire ’le regole’? Le regole sono un giochetto statico. Quel che serve è un progetto, con tutte le sue articolazioni, con tutte le sue problematicità. Mi sembra che l’assenza di un tale disegno sia anche un po’ il risultato – non indolore – della rete, dell’online; perché la rete ha introdotto una cultura politica tipicamente americana, ovvero la sacralizzazione dell’opinione pubblica, la ’sondomania’ referendaria dove la gente è chiamata a dire ’sì’ o ’no’, mentre manca quello in cui consiste la politica: il rapportarsi di pensieri e progetti diversi che, attraverso la dialettica e l’antagonismo, possono essere in grado di produrre una mediazione superiore. Invece, la politica è stata ridotta come se fosse l’auditel della televisione: mi piace, non mi piace.

Ok. Ricette anti-sprechi, ricette meritocratiche: tutto questo può sostanziare la crescita di nuove coscienze politiche?

Ti rispondo subito sulla meritocrazia: per carità, assolutamente no. Abbiamo fatto il ’68 – e rivendico quella battaglia – proprio per dire che la meritocrazia era una falsa meritocrazia, perché è evidente che – per esempio – un figlio di immigrati ha sempre avuto possibilità prossime allo zero nel riuscire a competere alla pari con un figlio di famiglia dove già c’erano libri e cultura. La meritocrazia è una grande balla, una cosa molto reazionaria: a meno che non si pensi a una scuola progettata per far avanzare l’ultimo, non il primo. È vero anche che in Italia la meritocrazia è stata interpretata positivamente a causa dell’alto livello di corruzione per le raccomandazioni.

Per chiudere, cosa ti preoccupa di più dei prossimi mesi?

Le elezioni.

Perché?

Perché vedo una sinistra così impreparata al confronto delle urne al punto da avvertire un sentimento contrastante: da una parte, vorrei che le elezioni si tenessero al più presto ma, allo stesso tempo, ne ho paura.

Come uscire da questa ’impreparazione della sinistra’?

Ci vorranno anni.