Federica Marchesich/ZENO- magazine mensile regionale del Friuli Venezia Giulia

Le voci dell’inchiesta dedica un’importante retrospettiva alla casa di produzione I Cammelli di Daniele Segre, autore del recente ed estremamente toccante Morire di Lavoro. Segre sarà ospite della Rassegna per tutta la sua durata ed introdurrà personalmente la visione dei suoi film. L’abbiamo raggiunto mentre si trovava al lavoro a Torino e con lui abbiamo parlato del “Cinema Utile”, che è peraltro il titolo della retrospettiva a lui dedicata.

Data la sua prestigiosa carriera in questo ambito volevo chiederLe perché ha deciso di dedicarsi al cinema della realtà – so che ama molto questa definizione per il cinema documentaristico – quali motivazioni e necessità l’hanno spinta ad affrontare temi e situazioni legati alla quotidianità: dal lavoro all’interazione sociale dei giovani, piuttosto che la vita dei disabili. Situazioni che spesso sono anche di sofferenza…

Premetto che faccio anche la cosiddetta fiction o film di narrazione con sceneggiature, come Manila Paloma Blanca, Vecchie, Mitraglia e il verme. Certamente il mio lavoro di regista si è particolarmente specializzato nel raccontare la realtà italiana nei luoghi cosiddetti di “frontiera”. Mi sono trovato a conoscere, studiare e raccontare situazioni che vanno dal mondo della tossicodipendenza alla violenza negli stadi, con anche tutto un percorso legato alla condizione psichiatrica e sanitaria in generale. E’ un impegno che fa parte della mia cultura, della mia scelta di mettere a disposizione il mio mestiere ed il mio pensiero alla costruzione di una riflessione sull’esistenza umana e offrire degli spunti per trovare delle forme per stimolare, sensibilizzare e costruire un futuro diverso da quello che a volte in certe storie io racconto.

In entrambi i generi, documentaristico e fiction, come ha scelto i suoi soggetti? Sono storie in cui ha “inciampato” strada facendo o che è andato a ricercare come fa un cronista?

Non sono mai “inciampato” ma ho sempre cercato a partire dal mio vivere il tempo che vivo, la realtà in cui sono immerso. E’ frutto di emozioni, sensibilità ed intuito. Certamente ci sono elementi che possono essere connotati anche nel lavoro che può fare un giornalista, un cronista, come avrebbe fatto Mario Soldati, o Zavattini, o Enzo Biagi. Andare ad incontrare la realtà. Alle volte gli spunti sono nati da immagini viste o intraviste al telegiornale come è stato con le miniere raccontate in Dinamite, dove c’erano dei lavoratori che si erano asseragliati con la dinamite nell’ultima miniera di carbone in Italia per difendere il loro posto di lavoro. Così è stato l’anno prima con Crotone Italia o Asuba de su serbatoiu, quando sono andato nel 2000 in Sardegna per raccontare un’altra lotta operaia estrema. Così come per Morire di lavoro è stata la mia profonda indignazione rispetto ad un bollettino quotidiano che vede quattro lavoratori morti ogni giorno in Italia a farmi decidere di intervenire come regista ed intellettuale a offrire uno spunto di riflessione che potesse servire a migliorare la conoscenza del lavoro, la cultura del lavoro, e del problema così delicato e difficile come la sicurezza nei luoghi di lavoro.

E per le opere di lungometraggio di fiction?

Sono tutte storie particolari. La dominante è stata il mio incontro con coloro i quali che sono diventati i protagonisti di queste storie. Sono nate quindi dal mio incontro con gli attori. Il caso più clamoroso è Manila Paloma Blanca, nella quale la storia è nata dal mio incontro con Carlo Colnaghi che stava vivendo particolari disagi di tipo psichiatrico. Con lui si è costruito un percorso che è durato ben sette anni e che lo ha visto poi ritornare davanti alla macchina da presa a fare prima un video con me intitolato Tempo di riposo e poi Manila Paloma Blanca come protagonista. Altri incontri sono stati quelli che hanno portato a Vecchie, come la conoscenza di Barbara Valmorin grazie alla quale ho costruito insieme a Maria Grazia Grassini lo scenario e la sceneggiatura di Vecchie, diventato poi anche lo spettacolo teatrale Vecchie,vacanze al mare che è stato in cartellone per ben due stagioni ottenendo un grosso successo, lo stesso per Mitraglia e il verme in cui è stato decisivo l’incontro con Antonello Fassari e Stefano Corsi.

“Il cinema utile” è il titolo della retrospettiva che Le voci dell’inchiesta le dedica. Ma quanto ritiene che il cinema possa essere davvero utile?

Ritengo che lo possa essere molto, altrimenti non farei questo tipo di cinema. Sono convinto che il cinema tra le altre cose possa intervenire per mettere le persone in condizioni di vivere una conoscenza più precisa ed approfondita della realtà ed assumere degli strumenti culturali che possano aiutarla a trovare le forme risolutive migliori per tante situazioni. Il “cinema utile” è necessario per contrastare le tendenze autodistruttive culturali che hanno prodotto veri e propri misfatti ed i risultati si stanno vedendo in modo drammatico nel nostro paese. Allo stesso tempo fare del cinema utile e mostrarlo è una scelta culturale e politica: ne fa fede l’esperienza che sto vivendo in questi mesi con Morire di lavoro, che è un film che ha avuto l’anteprima alla Camera dei Deputati ed è stato poi ospite a Strasburgo al Parlamento Europeo e che da mesi sta girando l’Italia con riscontri straordinari, raggiungendo l’obiettivo primario che mi ero prefissato nel realizzarlo, vale a dire che diventasse uno strumento di conoscenza ed utilità pubblica, e la RAI che malgrado promuova il film e ne parli, e questo mi fa piacere, non intende neanche lontanamente metterlo in onda o trovare una forma in cui esso possa approdare ad un servizio pubblico. Ho proposto che la RAI dedicasse un’intera serata al lavoro e che il film potesse anche essere diviso in due parti affinché in quella serata si chiarisse il punto sulla reale situazione drammatica degli incidenti sul lavoro e definire gli strumenti necessari per abbattere quest’incidenza terribile, ma non ho mai avuto risposta. La stessa cosa vale per la distribuzione cinematografica, a parte L’Arsenale, un Cineclub di Pisa, che l’ha messo in programmazione per quattro giorni, e pur avendo scritto a tutti i cinema dotati di supporto digitale, non abbiamo avuto una risposta. Ovviamente senza la visibilità la funzione di utilità pubblica è impedita o gravemente lesa.
Io sono molto grato a Cinemazero, a Marco Rossitti e ad Andrea Crozzoli ed allo staff organizzativo del Festival per questo invito che mi onora e che in qualche modo mi aiuta molto a permettere che questa questione oggetto della nostra conversazione sia posta all’attenzione dei media nazionali: la questione centrale di a cosa può servire realmente il cinema, dal momento che è condizionato dal linguaggio, dalle forme e dai soldi della televisione. Senza di essa oggi non si fa il cinema, a parte quello indipendente, a cui viene negata totalmente la visibilità. Sono estremamente grato quindi all’opportunità che mi dà Le voci dell’inchiesta.