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Care tutte

Probabilmente non e’ neppure un Centenario nel senso stretto della parola, questo Otto marzo 2008 che celebra i 100 anni della Giornata Internazionale della donna. A voler guardare strettamente ai fatti storici, era il 1910 quando la Seconda Conferenza dell’Internazionale Socialista Donne riunita a Copenaghen approvo’ l’istituzione di una Giornata intestata alle lotte delle donne. A pensarla, allora, furono anche Clara Zetkin e Rosa Luxemburg, unite alle altre dall’elaborazione dell’analisi marxista sulla lotta della classe operaia contro lo sfruttamento del capitale. E sul ruolo femminile, che non poteva non essere, visto che donne e bambini operai, a salario piu’ basso di tutti, ammassavano gli opifici senz’aria e senza luce, esseri umani considerati ancor meno tali tra i tanti senza diritti.

Quando la Conferenza di Copenaghen istitui’ la Giornata della Donna, queste operaie, questi bambini, non erano comunque muti, passivi protagonisti della loro agonia; da anni, da decenni, scioperi e manifestazioni operaie contrastavano padroni e politiche dello sfruttamento del lavoro salariato, in tutte le sue forme, di qua’ e di la’ dell’oceano. Quando si da strada la coscienza della dignita’ dell’essere umano, quando la consapevolezza dell’uguaglianza scivola con il latte materno ripetendosi “e’ piu’ facile che un cammello passi per la cruna di un ago…”, non ci sono oceani, montagne, deserti e manganelli e barriere che tengano…

Cosi, raccontano i documenti, fu anche a sostegno e in onore degli scioperi delle operaie americane che da Chicago a New York sciamavano per le strade chiedendo salari e orario di lavoro dignitosi, rannodandosi ad altri scioperi e ad altre lotte operaie, che fu istituita la Giornata delle Donna.

E se anche l’incendio nella fabbrica Cotton -, quell’Otto marzo in cui 129 operaie bruciarono vive, negli stanzoni che il titolare aveva chiuso a chiave per impedirgli di partecipare agli scioperi -, fosse venuto dopo l’istituzione di questa Giornata, e se anche quest’anno non fossero esattamente Cento anni da quell’episodio di cui tutte e tutti tramandiamo la memoria, e se anche fosse persino solo simbolico, quell’incendio, affresco di tutti gli “incendi” in cui le lotte per il diritto al lavoro come diritto alla vita hanno arso senza consumarsi, sarebbe per questo meno importante, meno valida l’eco del secolo delle lotte per eguaglianza che porta con se’? E meno importante la sua attualita’?

Di lavoro, si continua a morire. Bruciati nelle fabbriche, soffocati in un buco senza aria, schiacciati sotto tonnellate di cemento; si muore pensando di tornare a casa dai figli, con il pane della giornata. Uomini e donne, lavoratori e lavoratrici.

Rimane il lutto, gli occhi senza piu’ lacrime. Quelli di Franca -, una delle protagoniste, suo malgrado, del film di Daniele Segre “Morire di lavoro” -, che di lavoro ha dovuto seppellire prima il marito e poi il figlio.

Figli di carne, figli morti di fabbrica, scrivemmo dopo la tragedia della Tyssenkrupp di Torino. Dopo Genova, Palermo, Molfetta…siamo costrette a ripeterlo ancora.

Intestiamo questa Giornata dell’Otto marzo che arriva al Diritto al lavoro-Diritto alla vita, contro il precariato che ci rende fragili, contro il patriarcato da sempre schierato dalla parte del padrone, contro le morti bianche, contro ogni sfruttamento e violenza. Quale liberta’ vera, quale piena autodeterminazione quando si e’ “schiave” del ricatto del pane quotidiano? Solo pallidi simulacri.

L’Otto marzo ripetiamoci, e ripetiamo ai nostri figli e alle nostre figlie che anche “i diritti gia’ conquistati non sono per sempre”.