agenzia DIRE

I numeri sono quelli di una carneficina.
Confermati, seppure attenuati da una lieve flessione, anche per
l'anno appena concluso: sono oltre mille i caduti in Italia sul
proprio posto di lavoro, a cui si deve aggiungere il milione e
piu' di infortuni (non volendo contare i 200 mila casi ipotizzati
dall'Inail di incidenti non denunciati da chi e' impiegato
nell'ambito del lavoro nero), di cui alcuni causa
dell'invalidita' permanente di almeno 25.000 persone. Numeri che
divisi per 365 danno il risultato inquietante di 3 morti, 27
invalidi permanenti e 2.500 incidenti al giorno (e cioe' 360
l'ora). E anche stavolta e' il Belpaese ad aggiudicarsi il
macabro primato rispetto al resto dell'Europa, dove il calo delle
vittime nell'intervallo di tempo compreso tra il '95 e il 2004 e'
stato in media del 29,41%, contro il nostro 25,49%.
Dalla seconda guerra mondiale a oggi sono 70.000 i morti del
lavoro italiano e attualmente, sparsi su tutto il territorio, ci
sono (secondo i dati forniti dall'Anmil, Associazione nazionale
mutilati e invalidi del lavoro) oltre 800.000 invalidi e quasi
130.000 vedove e orfani resi tali da infortuni professionali.
Di fronte a questo devastante quadro si stanno mobilitando il
mondo della politica e quello dei sindacati, con richieste di
intervento da parte dello Stato sia in ambito normativo –
soprattutto con la richiesta dell'applicazione immediata e
integrale del Testo unico sulla salute e la sicurezza nei luoghi
di lavoro stilato dall'ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano –
che in ambito informativo e formativo – in particolare con la
proposta di inserimento nei programmi scolastici
dell'insegnamento della sicurezza sul lavoro.
Grande risalto viene dato al secondo punto da parte
dell'attuale governo: “Nulla piu' della formazione,
dell'informazione, a mio avviso, fa sicurezza”, ha detto il
ministro del Lavoro, Sacconi, che ha dichiarato di volere la
creazione di un unico soggetto nazionale che integri le varie
competenze oggi distribuite tra i vari enti con funzioni di
ricerca e di orientamento in materia di salute e sicurezza sul
lavoro (Direzione provinciale del lavoro, Asl, Inail, Ispesl), e
il cui ministero, insieme all'Inail, ha realizzato la campagna
“Attenzione ai comportamenti sicuri”, svoltasi negli ultimi tre
mesi tra spot radiofonici e telematici, avvisi sulla stampa,
manifesti sugli autobus e braccialetti in silicone distribuiti
agli studenti. E se questa posizione, unitamente alla modifica o
alle deroghe di alcune parti del Testo unico (modifica e deroghe
che, accusa l'opposizione, in nome della flessibilita',
favoriscono piu' la “leggerezza” degli imprenditori che la tutela
dei lavoratori), e' stata vista da alcuni, in primis dalla
Cgil, come un pericoloso segnale dell'”addebitare all'attenzione
e ai comportamenti degli stessi lavoratori la responsabilita'
degli incidenti”, c'e' chi insiste sulla necessita' tanto
dell'azione legislativa quanto di quella comunicativa e sulla
loro complementarieta', e anche chi di quest'ultima da' una
dimostrazione nel suo stesso fare.
Si tratta di alcuni esponenti del mondo
della cultura e dell'arte, che da qualche tempo sta producendo
sempre piu' opere legate alla tematica delle “morti bianche” e
degli incidenti sul lavoro. Creazioni che appartengono, per la
loro stessa natura, all'ambito della comunicazione/informazione,
ma che attraverso il palcoscenico, il cinema e la fotografia
lanciano accuse e chiedono azioni concrete a livello legale e
repressivo (a partire dalla richiesta dell'aumento del numero
degli ispettori del lavoro e dalla certezza delle sanzioni per
gli imprenditori che non rispettano le regole), nonche'
assunzioni di responsabilita' che non possono essere solo dei
lavoratori. Ai quali – quelli attuali come quelli potenziali, e
cioe' gli studenti – pure sono pero' rivolti i lavori di questi
fotografi, registi, e giornalisti d'inchiesta.
E non e' un caso allora che gli artisti in questione abbiano
scelto la strada delle testimonianze di chi per l'esperienza
dell'incidente sul lavoro ci e' passato: gli invalidi e i
sopravvissuti, parenti o colleghi che si porteranno per sempre,
chi per una ragione chi per un'altra, il peso di precise “morti
bianche”. E che da quell'esperienza hanno acquisito
consapevolezza e capacita' di analisi, diventando quindi un
potenziale mezzo di trasmissione della cultura della sicurezza.
Ecco allora nascere da un'iniziale lavoro di inchiesta il
documentario del regista Daniele Segre 'Morire di lavoro', quello
di Pietro Balla dal titolo 'Thyssen Krupp Blues', lo spettacolo
'Il pane loro', scritto dal giornalista indipendente e regista
Rai Stefano Mencherini, e le foto di Riccardo Venturi che
compongono la mostra 'NO!'.