I martedì dell’AIACE

In qualche capannone abbandonato, in qualche prato di periferia. gli «ultras» bianconeri e granata stanno preparando striscioni, croci, teschi, inventando nuovi slogans, preparando i piani di battaglia per il derby di domenica, il rito triste, soprattutto triste, di qualche centinaio di giovani che prendono la strada del Comunale avvolti da sciarpe colorate alzate sul viso, sventolando stendardi con scritte irridenti all’avversario, gridando frasi di gratuita intonazione politica (un corteo di protesta è altra cosa, il «cuore» del gruppo è più che sano) sta per ripetersi.
Non si accorgeranno, o fingeranno di non vedere, quando provocatori di professione si mischieranno a loro, accenderanno fuochi polemici, getteranno in campo il primo mortaretto. Ed i provocatori potranno innescare altre micce prima e dopo la gara, come alla fine di Juve – Milan quando vennero rotti i vetri a decine di pullman. Non saranno neppure troppo disturbati, ben prima dell’altra domenica si era avuta l’impressione che stadio e dintorni siano considerati una palestra di sfogo, persino utile, anche da chi dovrebbe sorvegliare. Si agitino attorno a piazza d’Armi, quando arriveranno in centro avranno esaurito la carica rabbiosa.
Questa rappresentazione di violenza gratuita. di pazzia collettiva almeno per chi osserva i gruppi dall’esterno, ce l’ha ricordata Daniele Segre, ex atleta (salto triplo), giovane regista, autore di un film documentario che l’Assessorato allo Sport di Torino ha sottoposto al giudizio di un gruppetto di addetti ai lavori, in previsione di una azione di informazione e educazione da tenersi nelle scuole e nei quartieri. Con fedeltà cronistica e notevole abilità nel filmare e soprattutto nel montaggio, Segre ha offerto uno spacco non marginale di vita cittadina. Il giovane regista non sarà rimasto troppo deluso se i giudizi (non sui lavoro. ma sull’opportunità di diffonderlo per iniziativa comunale, sui possibili effetti) non sono stati del tutto favorevoli
La sua intenzione è quella di sottolineare la condizione di vita in cui maturano certi sfoghi, di spiegare la necessità di molti giovani di trovare un «momento» comune, di avere un motivo per riunirsi e fare qualcosa, non importa cosa, è apparsa evidente, ma la forza delle immagini ha violentato i propositi di Daniele Segre, per offrire soprattutto un documento amaro, drammatico, di un certo tipo di comportamento in una delle due curve del Comunale.
“Il potere dev’essere bianconero” (questo il titolo del film, tratto da uno slogan gridato e scritto dal gruppo) ha preso in esame la curva Filadelfia ma è chiaro che la scelta non influisce minimamente sul fatto di costume. anche se – questo é stato uno dei motivi di perplessità – il necessario distacco critico non è garantito da tutti i possibili spettatori di domani. Sull’altra curva, la Maratona, il discorso è lo stesso, i colori non incidono sulla sostanza. Se è drammatico che la solitudine cui la città moderna costringe molti giovani si annulli illusoriamente in manifestazioni collettive insulse, è tragico che – come ha spiegato Segre – i protagonisti si siano già visti sullo schermo, in visione privata, con unanime soddisfazione. Nessuna vergogna, quindi, la certezza che “è giusto così”.
Qui sta il nocciolo del problema che gli «ultras» riproporranno domenica. Escludendo i provocatori di professione, i giovani che gridano parolacce ed imbrattano i muri di scritte oscene pensano di «non avere altri mezzi per esprimersi”. Lo stadio come palestra di violenza, il segno della P.38 con le dita, le parole scandite su ritmi presi a prestito dalla politica debbono far meditare, non soltanto indignare. «Non ho fatto un film sul calcio ma sulla condizione di certi giovani, ha spiegato Segre, e non era neppure necessario. Il fatto che questi ragazzi non se la prendano magari contro i giocatori milionari, dimostra la completa confusione delle loro idee. Si intruppano in un .partito granata o bianconero. per fare qualcosa insieme, per sentirsi forti. Conoscere la situazione é importante, per cercare di porvi rimedio. Sostenere che “nulla hanno a che fare col calcio” è la verità, dire “sono delinquenti” è troppo facile.