Flavia Vadrucci/www.eumagazine.it

Gli operai esistono (ancora). E non se la passano tanto bene.Torino, 6 dicembre 2007. Nella notte, dentro lo stabilimento della ThyssenKrupp – azienda leader in Europa nei settori dell’acciaieria e della siderurgia – una fiammata seguita alla fuoriuscita di olio bollente investe 7 operai. Nel giro di un mese moriranno tutti. L’enormità della tragedia, le colpe dell’impresa e l’emozione suscitata dalle storie personali degli operai morti, alcuni dei quali erano costretti a pesanti turni di straordinario per arrivare a fine mese, fanno ritornare d’attualità il tema della sicurezza sui luoghi di lavoro. In pochi, però, si prendono la briga di dire che non c’è una nuova emergenza, che il lavoro uccide i suoi figli ogni giorno. Tra questi c’è Daniele Segre, autore e produttore del film Morire di lavoro.
Ultimato nel febbraio 2008 con il sostegno del Piemonte Doc Fund e la collaborazione del Sindacato Costruzioni CGIL, Morire di lavoro è una testimonianza collettiva di quello che oggi può voler dire essere un operaio. Nel settore edile, in particolare, spesso il “nero” la fa da padrone, i padroni si rivolgono agli operai solo per obbligarli a lavorare più in fretta e le precauzioni di sicurezza sono un optional. Accettare queste condizioni è per molti l’unica strada per uno stipendio che consenta almeno di fare la spesa e di pagare l’affitto. E tornare a casa sani e salvi, nella maggior parte dei casi, è solo questione di fortuna.
Daniele Segre, da sempre autore di film e documentari su temi sociali scottanti (dall’emarginazione all’AIDS alla sindrome di down), racconta questa tragedia con i volti e le storie di chi ne è dentro fino al collo. Gli operai che affrontano il pericolo tutti i giorni, quasi fossero soldati, ma poi si fermano a riflettere: “Il mio mestiere è costruire case, non rischiare la vita”. Le donne di chi ha già subito un incidente, le mogli, le fidanzate, le madri, le sorelle, che raccontano la disperazione e chiedono giustizia. Gli extracomunitari, paradossalmente i meno rassegnati, che si ribellano e denunciano le violazioni. Non tanto delle leggi, quanto dei diritti umani.
“Un film duro che racconta la realtà” è stato il commento di Gugliemo Epifani, segretario generale della CGIL. Ed effettivamente queste facce, questi racconti, queste lacrime, questa rabbia non fanno sconti, ma sono necessari. Necessari per raccontare una guerra che conta 4 morti al giorno e che spesso si consuma nel silenzio. Il film è stato presentato a Roma il 12 febbraio, prima alla Camera dei Deputati, poi in una gremita Casa del Cinema. Non è ancora prevista la distribuzione nelle sale né la messa in onda sulla Rai, ma ci associamo a chi la sta chiedendo a gran voce. Perché, come tutte le guerre insegnano, accendere i riflettori sulle barbarie può fermarle e impedire che si ripetano.