Angelo Mastrandrea – il manifesto

Non è impresa di tutti i giorni riempire tre sale cinematografiche contemporaneamente per la proiezione di un documentario. È accaduto l’altra sera alla Casa del cinema di Roma per il film-autobiografia Luciana Castellina, comunista, con il quale il regista Daniele Segre ha omaggiato la fondatrice del manifesto. Un genere di film, esordisce ironicamente la protagonista, «di quelli che vengono girati dopo la morte». E invece eccola qui, la nostra Luciana, affiancata da un maestro del cinema come Ettore Scola, a elogiare lei, il regista e l’altro protagonista del film: la politica. È quest’ultimo, infatti, il filo narrativo che tiene insieme le numerose stagioni della lunga – e affatto banale – vita di Castellina, fin dall’infanzia sotto il fascismo, a scuola Anna Maria Mussolini, la figlia del Duce e di Rachele – come aveva già raccontato nella sua autobiografia La scoperta del mondo – e poi dal dopoguerra con l’avvicinamento al Pci, il più grande partito comunista d’occidente dal quale fu radiata con tutto il gruppo del manifesto nel 1969 e che ancora oggi apertamente rimpiange, dopo essersi riappacificata con esso nel 1982, su invito di Berlinguer.
Una presenza, quella della politica, a tal punto preponderante che lei stessa si sente in dovere di specificare come questa autobiografia voglia essere un «ritratto generazionale», una vita in cui tanti altri possano riconoscere un pezzo di loro stessi – come aggiunge Ettore Scola – una vicenda umana paradigmatica di una generazione cresciuta sotto l’oppressione del regime che con la Liberazione scopre la vita e, con essa, valori universali come la libertà e l’uguaglianza, passioni politiche che – anche nel dopoguerra – continueranno a essere pagate con il carcere e provocheranno le prime, cocenti, delusioni. A partire dalla sconfitta del Fronte Popolare nel 1948, che fa riemergere quel fondo reazionario del carattere degli italiani che nel recente passato aveva garantito il consenso al fascismo.
Poi, il manifesto. La radiazione – «una splendida radiazione», dice oggi, «perché ci consentì di far conoscere a tutti le nostre idee. Oggi quante frazioni di minuscoli partiti vorrebbero patire la nostra sorte!» – e la nascita di un’avventura giornalistica a tal punto singolare nel panorama editoriale e politico europeo da divenire oggetto di imitazione: i francesi di Libération e i tedeschi della Taz verranno a Roma a studiare il «modello manifesto».
Una piccola aggiunta la suggerisce a fine proiezione Filippo Maone, altro manifestino della prima guardia: le prime macchine da scrivere, usate, furono fornite al manifesto dalla Olivetti a prezzi a dir poco da saldo, grazie all’intercessione dello scrittore Paolo Volponi, che all’azienda di Ivrea lavorava. La prima riunione del collettivo, ricorda Luciana Castellina, si svolse a lume di candela perché la corrente elettrica non era ancora attaccata. La generazione di «compagni» di cui la fondatrice di questo giornale ha provato a tracciare un ritratto, è stata anche questo.