P. Zac. / Il Messaggero

In comune con Giuseppe Gentile, il famoso atleta impegnato da Pasolini nella sua Medea al fianco di Maria Callas ha solo la specialità, il salto triplo. Per Daniele Segre, trentuno anni, nativo di Alessandria, ex nazionale di atletica leggera, barba e cpelli biondi, ricci e folti, il cinema però non è un episodio: è il mestiere che si è scelto, partendo dalla fotografia di scena – “Matti da slegare” e “La macchina cinema” — per approdare alla regia e alla produzione, con risultati non indifferenti come quello di vedersi invitato dal prestigioso festival di Locarno, che comincia il 5 agosto, con il suo ultimo lavoro, “Testadura”.

Atleta conosciuto, nazionale e poi regista: come è avvenuta questua metamorfosi?
“Dal mio amore per la fotografia, che ho iniziato a praticare circa dieci anni fa. Quando mi sono stancato con le macchine fotografiche, amando anche molto il cinema, mi sono detto perché. non provare con un'altra macchina, quella da presa? Però non abbandonerò mai la fotografia anche se il cinema mi permette di esprimermi, credo al meglio.

Si sente parte della pattuglia dei “nuovo cinema”?
“Boh. Non credo proprio..”.

Chi le ha dato i fondi per “Testadura”?
“Ho messo su una mia casa di produzione, I cammelli, in cui ho investito i soldi guadagnati lavorando per la Rai – ho tatto tredici lungometraggi dal 1976 ad oggi – il cui motto è “O sei un cammello o muori per strada”. Il film mi è costato in tutto cento. milioni e ora, quando verrà proiettato, aspetto il responso del pubblico perché dalla sua riuscita dipenderà in gran parte il mio futuro..”.

Accetterebbe di fare un film commerciale?
“Confrontarmi con il mercato mi spaventa, mi interessa muovermi sui temi che ho trattato sinora, non sono neanche capace di fare un film commerciale..”.

Di cosa ha bisogno un giovane che cerca di fare cinema oggi?
“Oltre al linguaggio personale, che deve trovarsi da solo, di lavorare, studiare, imparare tutto sul cinema, tecnicamente ed artisticamente, senza tregua”.

Quali sono stati i suoi maestri, se li ha avuti?
“Certo che li ho avuti, come tutti. Il cinema tedesco – Wenders, Fassbinder, Fleischmann – perché sono riusciti a risollevare le sorti disastrate della cinematografia del loro Paese. Hanno dato vita ad un movimento di pensiero attraverso il quale è nato un nuovo modo di fare cinema, riuscendo ad affermare idee in cui credono..”.

Una curiosità: come ha reperito il capitale per fondare la sua casa di produzione?
“Per l'atto notarile occorreva mezzo milione, la metà l'avevo già da parte e l'ho vinta una sera al casinò di Saint Vincent. La vita, si dice, è sogno: il cinema, nel mio caso, è stato anche il gioco”.