Brunella Torresin/ La Repubblica

Paréven furmìghi, racconta in dialetto la voce fuori campo, «sembravan formiche, lungo la strada, a portar sabbia e ghiaia fin dentro il paese. Era il 1950; automobili non ce n'erano a Cavriago: la catena umana, dal greto del torrente fino alla piazza del paese, era fatta di biciclette. Tante biciclette nere, una dietro l'altra. Fu un'impresa epica, la costruzione del cinematografo. Vi prese parte tutto il paese, uomini e donne. Superarono contrapposizioni politiche forti, ebbero la meglio sull'ostilità del parroco. La sala era grande, mille posti. Ogni settimana, una sottoscrizione permetteva di acquistare i mattoni nella vicina fornace di Bibiano. Vivono ancora i protagonisti di questa storia, e Daniele Segre ne ha ritrovati una sessantina. E loro hanno raccontato, ballato, riso e ricordato. E Daniele Segre li ha filmati. Dice: «Un pezzo di storia italiana, dalla ricostruzione agli anni del boom, una storia di uomini e donne che ci ricordano il valore della partecipazione».
Il titolo è preso dalla filastrocca del poeta del paese, Paréven furmighi. Il film, un mediometraggio di 35 minuti prodotto da Comune di Cavriago, Cooperativa Casa del Popolo e società “I Cammelli'', inaugurerà il 28 agosto la sezione officina della Mostra del cinema di Venezia. I protagonisti saliranno tutti su un pullman comunale che da Cavriago li condurrà al Lido; il 15 settembre, sarà il film a tornare in paese. Raiuno lo manderà in onda in autunno, così come Segre l'ha girato, in dialetto cavriaghese e sottotitoli in italiano, «per restituire l'impronta reale della storia».
Cavriago è un paese a 6 chilometri da Reggio Emilia, reso famoso da una busto di Lenin in piazza sopravvissuto alla caduta del muro di Berlino. Ma non è la testa di Lenin («A Cavriago son davvero stufi dei fotosafari turistici») ad aver richiamato Daniele Segre, bensì la possibilità di tenervi lo stage di regia della sua Scuola di Video Documentazione Sociale. in primavera si è trasferito con i ragazzi. Alla fine i lavori realizzati sono stati due, il film vero e proprio, e un video (“Me gh'éra, c ero”) realizzato dagli allievi.
Il film è girato tutto all'interno del cinema, dove Segre ha ricostruito diversi set. «Questa sala era diventata il palcoscenico della società di quegli anni, il teatro di grandi emozioni», spiega. «Vi passarono i film del neorealismo, e uno dei protagonisti racconta infatti l'arrivo di Riso amaro, di De Santis, ma si faceva anche la rivista e si ballava». Sullo schermo sfilano «quelli che facevano i muratori» e «quelle che facevano le maschere», «quelli che suonavano, anche in orchestre di professionisti, e quelli «che cantavano». Una coppia di amiche intona una canzone francese. Un uomo e una donna improvvisano, un elegantissimo boogie woogie. «Ogni sabato sera toglievano le sedie, per ballare. Poi nella notte le rimontavano, perché la domenica pomeriggio si faceva il cinema». Ogni immagine è pervasa, come dice Segre, «da un grande sentimento di tenerezza, di voglia di vivere, di ironia».
C'è un sapore d' amarcord felliniano e l'eleganza senza parole di Ballando ballando, ma si tratta, come dice Segre, di «punteggiatura». Il film vuole ricostruire un clima, «sconfinare in un immaginario che appartenga a tutti, di emozioni forti», «riprendere un cammino che s'è interrotto, la voglia di partecipare e cambiare la realtà in cui si vive». «Invece d'esser mandati nelle case di riposo, questi uomini e donne che noi chiamiamo di una certa età, andrebbero invitati nelle scuole, a scuotere le giovani generazioni imbrodolite dalla televisione macaoista».
Qui comunque i giovani hanno restaurato il cinema dei nonni; ricavandone due sale, e invitato Bernardo Bertolucci a inaugurarle, un anno fa. Così hanno trovato anche come chiamarle, multisala “Novecento”.