Alessandra Pusceddu / La Nuova Sardegna

Daniele Segre pronuncia con qualche incertezza il titolo sardo-italiano del suo documentario, «Asuba de su serbatoio», con il quale partecipa ad una sezione collaterale della Mostra del cinema di Venezia. Il film verrà proiettato oggi alle 11 nella Sala Perla del Palazzo del Cinema. per poi essere replicato nei giorni successivi. E' stato girato a Villacidro nel luglio del 2000, nella solita estate sarda già stracolma di vacanzieri giustamente impigriti; ma Segre si era mosso dalla sua Torino per motivi meno ludici. Un flash televisivo, brevissimo mostrava un operaio mascherato sulla cima di un serbatoio. Una fabbrica, la Nuova Scaini, produttrice di batterie per auto, era stata occupata dagli operai. L'Agip Petroli aveva chiuso le linee di produzione e si accingeva a vagliare le offerte di acquisto, nessuna delle quali dava garanzie sul mantenimento del posto di lavoro per i lavoratori della sede sarda. «Le immagini televisive ricordavano che esistevano realtà marginali e penalizzate pesantemente dalla grande mutazione della civiltà industriale. Quindi, da un lato, c'era la voglia di raccontare un altro caso che occupava, sì e no, qualche riga di cronaca, dall'altro di sostenere le ragioni, o almeno di dare la parola a quegli operai che stavano sopra i serbatoi della Nuova Scaini».

Quindi un documentario politico-sociale?

«Non proprio, e non solo. .A parte l'ovvio sostegno alle famiglie che non sanno come sbarcare il lunario, il mio lavoro non ha affatto interferito con le trattative sindacali che durano tuttora e pare che andranno in porto positivamente. D'altro canto, volutamente, dopo aver fatto le riprese a Villacidro e poi a Roma, durante il viaggio della delegazione sindacale che ha incontrato i vertici dell'Agip, io ho interrotto la produzione del film. Avevo in cantiere il progetto del film sull'Unità (in quei giorni aveva sospeso le pubblicazioni) e ho preferito concentrarmi su quello, facendo decantare la materia esplosiva della fabbrica sarda. Oggi, ad un anno di distanza, posso dire che, da un punto di vista registico, è stata una scelta giusta. Io non voglio fare film inchiesta, ma semplicemente. osservare certe realtà dal punto di vista di un artista e poi raccontarle agli spettatori. che spesso non ne conoscono l'esistenza».

E quale sarà il punto di vista di «Asuba de su serbatoio»?

«La zona di Villacidro aveva, fino a quindici anni fa, 5.000 occupati nell'industria; oggi ne rimangono poche centinaia, tra i quali gli operai della Nuova Scaini. La prima sensazione di un osservatore esterno che arriva là con la macchina da presa è quella di un mondo ché si dissolve, d'altronde confermato dal fatto che l'ultima rilevazione dell'Istat ha certificato la perdita di altri 20.000 posti di lavoro nella grande industria. Insomma, il primo approccio con i lavoratori potrebbe assomgliare ad un ritratto di un esercito sconfitto e di un'ultima pattuglia che resiste disperatamente. Un presagio, o un simbolo di quel che potrebbe significare la cosiddetta globalizzazione, se gestita con certe logiche di puro profitto. Ma poi il film non è invece affatto catastrofico, o almeno io non l'ho costruito con questa filosofia: è invece un'opera sull'umanità di quelle famiglie, sul loro desiderio di vivere normalmente e non da disperati che salgano sulle ciminiere o sui serbatoi. Insomma, vorrei che si capisse che non inneggio alla solitudine dell'ultimo operaio, ma alla sua voglia di ricostruirsi un futuro».