Filippo D’Angelo/L’Unità

Ritagliata tra i più istituzionali appuntamenti di Pesaro e Bellaria, un'altra manifestazione dedicata al «giovane cinema italiano», chiamato a misurarsi sul proprio futuro sin dal titolo, «Accadde domani», voluto dagli organizzatori, si è svolta a Reggio Emilia, promossa dal locale Ufficio cinema del Comune, dal 26 giugno al 2 luglio: una rassegna di «esordi» recenti e un'utile pubblicazione curata da Paolo Vecchi. La presenza di Segre, cineasta indipendente da tempo impegnato a sperimentare «lontano da Roma» nuove ipotesi produttive e che vive sulla propria pelle uno schizofrenico isolamento dal mercato, ha consentito un approccio alla complessa identità del giovane regista italiano. Magari partendo dall'operazione inusuale che l'ha visto recentemente protagonista insieme ad altri sei autori legati a Indigena, quel “Provvisorio quasi d'amore” che, prodotto da Raitre, ha chiuso la manifestazione reggiana.
«Si è trattato di una vicenda produttiva molto particolare – afferma Segre – perché Raitre ha finanziato un progetto gestito completamente dalla società Indigena. La verifica, insomma, di una nuova formula, che ha ufficializzato l'identità di un gruppo di registi decentrati dal potere romano che, come me, hanno imparato a fare gli imprenditori. Abbiamo dimostrato di saper gestire una produzione divisa tra Roma, Milano e Torino, senza sforare il budget assegnato, che era di soli 450 milioni».

L'esperienza accumulata da Indigena, insomma, è servita…

Certamente. Abbiamo raggiunto degli standard professionali adeguati alle esigenze del mercato, la nostra è stata una crescita trasversale, che ha interessato tutti i ruoli, dall'operatore al direttore di produzione. A mancare è stata forse una crescita parallela del nostro immaginario. Ma questo è il riflesso del grigiore culturale e delle contraddizioni laceranti di questi anni.

In che senso preferite definire «Provvisorio quasi d'amore» un prodotto collettivo piuttosto che un film a episodi?

Nel senso che fra noi c'è stato un grosso confronto attorno a questo tema comune, l'amore, e questo in un momento che non privilegia certo la dimensione collettiva nel nostro lavoro e in cui le occasioni di questo tipo per i registi giovani sono pressoché inesistenti.

Cosa pensi dell'altra realtà produttiva impostasi recentemente in Italia, vale a dire la Sacher Film?

Stimo moltissimo Nanni Moretti. Ha dimostrato di possedere il rigore e la coerenza necessari a mantenere integra la propria identità anche nel delicato confronto con le regole del mercato.

Già, conservare integra Ia propria Identità. Mica facile: tu come ci riesci?

Cerco sempre di essere testimone del mio tempo, di vivere e conoscere la realtà per trasmetterla a chi ne ha un'immagine distorta e camuffata dai mezzi di informazione. Il regista deve essere un rilevatore delle tensioni sociali, un agitatore e non un agente di consenso. è questo che mi interessa della mia professione. Se il cinema deve servirmi solo a farmi conquistare un posto al sole, allora preferisce fare il tassista.

Il tuo percorso di autore è piuttosto atipico, dominato com'è dall'esigenza di conciliare li bisogno di finzione e la tua matrice documentaristica…

Il mio bisogno di raccontare nasce sempre dagli stimoli offerti dalla realtà, che a volte sono legati ad incontri casuali, come per Ritratto di un piccolo spacciatore sono andato a comprare le sigarette in un bar della malavita torinese, ho conosciuto questo tipo e l'indomani, a casa sua e in cinque ore, abbiamo fatto il film. Nei miei primi documentari utilizzavo le interviste, poi ho visto che non bastavano più e ho cominciato a sperimentare, ad esempio in Vite di ballatoio, un linguaggio esasperato, che mescola realtà e finzione, come del resto avviene anche nel quotidiano. Non considero la finzione un punto di arrivo, piuttosto è una tappa di un processo di ricerca che mi consente di mettermi in gioco come è avvenuto in Testadura.

Puoi parlarci dl «Manila, paloma bianca», il tuo prossimo film?

Attualmente stiamo cercando di montare un pacchetto di finanziamenti sulla base dei 350 milioni dell'articolo 28. La storia è quella di una ricerca d'identità da parte di uno sconfitto, un ex attore, che ha dei problemi psichiatrici e che incontra una ragazza ebrea proveniente da un ambiente molto diverso dal suo. E una storia molto dura, che probabilmente darà fastidio.