Tonino Bucci/ Liberazione

“E’ un film pieno di metafore. Lo leggo anche alla luce di quello che è accaduto in questi giorni negli Stati Uniti dove all'improvviso un fatto tragico ha cambiato la vita delle persone. Sono queste situazioni che fanno capire la bellezza della vita, proprio nel momento in cui viene messa a rischio e negata”. Così il regista Daniele Segre commenta il film “Tempo vero”, un documentario sulla malattia di Alzheimer, presentato in anteprima ieri a Roma e prodotto su incarico della Ausl e della Provincia di Reggio Emilia. Il film, che verrà proiettato anche nella città emiliana sabato prossimo (Hotel Astoda Mercure alle 15.30) racconta il dramma di una malattia che conduce a un vero e proprio dissolvimento della personalità. “Il mio approccio con la realtà attraverso la telecamera – spiega il regista – è stato quello di raccontare la vita delle persone con questa malattia evitando la spettacolarizzazzione della sofferenza cui siamo abituati. Un linguaggio alternativo a quello dominante nel cinema e nella televisione per parlare dell'Alzheimer, questa patologia degenerativa del sistema nervoso centrale. All'inizio la malattia si distingue poco dai sintomi attribuiti alla vecchiaia: calo dell'iniziativa, ansia, depressione, difficoltà a trovare le parole giuste o a ricordare fatti recenti. Segnali in genere sottovalutati ma che talvolta sono il preludio di una malattia devastante che in pochi anni conduce alla morte. L'Alzheimer colpisce in misura progressiva con l'avanzare dell'età – il cinque per cento del persone oltre i 65 anni e il venti, quaranta per cento dopo gli 115. II film di Segre trasforma la telecamera in un mezzo espressivo per familiari, operatori dei servizi, associazioni che vivono ogni giorno il confronto con persone aliene dalla malattia. “Tempo vero”, realizzato anche in collaborazione con l'Associazione italiana malattia di Alzheimer e con l'Assessorato alla sanità della Regione Emilia Romagna, racconta con parole e immagini le testimonianze, in primo luogo, dei familiari che giorno per giorno accudiscono, sostengono, curano persone anziane affette dal morbo. Dato che non esistono terapie, sono proprio le famiglie e le persone vicine che svolgono il ruolo fondamentale – ponendo tuttavia il problema di una rete di servizi domiciliari pubblici a loro sostegno. La riscoperta del tempo che si riduce, di una vita che a poco a poco si annulla nei suoi aspetti intellettuali, emotivi ed affettivi, l'andare avanti giorno per giorno senza conoscere il futuro: il film di Segre parla di questo, di persone che all'improvviso non riconoscono più mogli, mariti, figli e di memorie, di sentimenti, di situazioni d'un colpo azzerati. Davanti alla telecamera che pian piano scompare, come se non ci fosse, parlano i loro familiari e raccontano i loro sacrifici quotidiani, !a rinuncia ai propri sogni, desideri, progetti, per assumersi un carico assistenziale ed emotivo enorme. Ma è anche scoperta del “tempo vero”, della finitezza della vita e della intensità di ogni suo attimo. “Di fronte a una situazione che sconvolge la normalità da un momento all'altro – spiega Segre – si afferra la bellezza della vita che sfugge. Ma è proprio qui che si aprono “varchi di umanità” e le persone tornano ad essere davvero protagoniste. Dentro l'agitazione del non sapere cosa accadrà il giorno dopo scorrono anche sentimenti autentici”. “Tempo vero” ossia “tempo che finisce” ma, prosegue il regista, “è la quotidianità che fa passare in secondo piano l'essenzialità del tempo che scorre. Sono le situazioni limite che d'anno nascere le domande sulla vita e il bisogno di sfruttare fino in fondo il tempo”.