Franco Quadri – Ubulibri

Vecchie di Daniele Segre dal cinema al teatro
di Franco Quadri

Artista anomalo dell’oggettivo, da anni specializzato in documenti filmici della vita, Daniele Segre non è nuovo al teatro, dove ha trovato i suoi protagonisti da indagare sullo schermo dieci anni fa costruendo l’emozionante Manila Paloma Bianca su Carlo Colnaghi, oggi scomparso, e l’estate scorsa portando a Venezia, e poi al premio al concorso di Annecy, Vecchie, radiografia su comportamenti di Barbara Valmorin e Maria Grazia Grassini, che ne sono ora le interpreti dal vivo nello spettacolo dell’Associazione Teatrale Pistoiese sottotitolata Vacanze al mare. Di quel film, che aveva solo tre stacchi, ritorna sulla scena con minimi movimenti in più e qualche parola mutata, lo stesso parlare in libertà di due amiche della terza età che rifanno se stesse in vacanza estiva al mare, restie a uscir di casa ma non a porsi come coppie di due anziani coniugi litigiosi.
Il regista s’è limitato a imporre delle percentuali quantitative ai singoli temi, mettiamo un tot per i ricordi, la prima scopata, gli amanti, le paure dell’età, il rapporto con la morte, i riferimenti sociali, i piccoli guai quotidiani, e così via, tacendo delle rispettive carriere. Segre, che firma il testo, è quindi intervenuto sui ritmi dei dialoghi e dei gesti, lavorando alla continuità della non azione, inchiodata nel film a una definitività alla quale la scena contrappone un margine di possibili varianti, battute estemporanee o accenni di gag. Un supplemento vitalistico potrebbe lederne il carattere surrealmente documentale che ne fa qualcosa di unico, sfuggendo ai moduli del testo di conversazione, come della commedia all’improvviso o alla soggettività dei monologhisti.
Lo sfondo grigio della scena di Antonio Panzuto, che comprende solo una tavola con davanti due sedie disposte verso la platea, inquadra e oggettivizza due grosse autointerpretazioni. Passando tra le luci e il controluce dell’acuta illuminazione fissa di Paolo Ferrari, vediamo la grintosa prepotenza di Barbara Valmorin guidare con distruggente fantasia inventiva la coabitazione estiva con una Maria Grazia Grassini più perbenista, preoccupata del proprio decoro anche fisico: due “rusteghe” che non smettono di insultarsi volendosi bene, col brio di un andante con moto che può preludere a un agitato o a un allegretto; e in poco più di un’ora ci disegnano un quadro di vita in cui verosimilmente si identificano e che si sfa come una bolla di sapone comunicandosi al pubblico, convertita comunque in finzione dal risuonare degli applausi.