Aldo Grasso/Il Corriere della Sera

Daniele Segre, regista piemontese, è un esponente di spicco di quella tendenza, il cinema della realtà», cui lui ha aggiunto un'impronta di asciuttezza e rigorosità, Pasquale Romano, autore napoletano, fratello dell'ex moglie di Alberto Castagna, è un esponente di spicco del reality show italiano, cui ha aggiunto un tocco di insana volgarità, scuola Alda D'Eusanio. Segre e Romano incarnano due modi di rappresentare la vita in tv: lodevole l'una, esecrabile l'altra. Un giorno, di Segre si celebreranno severe retrospettive mentre di Romano si conteranno i molti danni. E la distanza fra i due sembra ancora più incolmabile da quando è andato in onda «Volti. Viaggio nel futuro d'Italia» (Raitre, mercoledì, ore 23.50). In sei puntate Segre racconta l'universo giovanile, partendo dagli allievi della Scuola del teatro Stabile di Torino: interviste, monologhi, frammenti di quotidianità, lontano da facili stereotipi e altrettanto facili devianze. Si parla di risvegli, case, amore, pace; famiglia, radici, matrimonio, politica, poesia come resistenza ai conflitti. I giovani per il regista «non sono un gregge che segue le mode, sonò un mondo sensibile e determinato nel costruirsi il proprio futuro». Esattamente il contrario di Pasquale Romano che fa programmi che esaltano la morale del gregge. Eppure, «Volti» è costretto a confrontarsi con alcuni fantasmi da cui è difficile liberarsi: il perbenismo di Raitre, la noia, la convinzione di essere i migliori. Il «popolo» (o la gente o la massa o l'audience) che è in noi è responsabile delle nostre rappresentazioni, dei nostri eccessi, dei nostri stordimenti, delle nostre inquadrature. Tra Segre e Romano non ci sono dubbi, basta non metterli mai in dubbio.