Corrado Guerra/Il Resto del Carlino

Dalla parte dei film: possibilmente europei, impegnati e politicamente corretti. E contro tutto il resto: lo star system, il divismo, i pettegolezzi.
Lo stile con cui Felice Laudadio, direttore della 54esima Mostra internazionale del cinema di Venezia, ha messo mano al cartellone della gran kermesse che va in scena in questi giorni al Lido di Venezia calza perfettamente con la poetica storia della costruzione, alla fine della seconda guerra mondiale, del Cinema Teatro Nuovo di Cavriago: voluto dagli abitanti per le loro feste, vedere film, ballare il boogie woogie e far politica. Il film di quella storia «Pareven Furmighi», (Sembravano formiche) diretto con mano commossa e ispirata da un giovane regista torinese, Daniele Segre, è stato presentato ieri nella sezione officina Veneziana, un po' il laboratorio per eccellenza di questa rassegna palpabilmente lontana da lustrini e mondanità, ma anzi tutta proiettata su sperimentazioni e scoperte che dilatano a tutta la programmazione lo stile della “Finestra sulle immagini” della gestione di Gillo Pontecorvo dello scorso anno. Applausi a fine della proiezione – nella Sala Volpi stracolma all'interno del Palazzo del Cinema – da parte della critica specializzata, mentre in serata, davanti ai protagonisti cavriaghesi di quella storia arrivati in pullman in laguna, c'è scappata anche qualche lacrima di soddisfazione e commozione.
Successo pieno per la storia in 35 minuti di quella fantastica scommessa della ricostruzione di un semplice cinema riproposta senza forzature 47 anni dopo con i protagonisti di allora: ha rapito il baule dei ricordi e dei racconti dei nonni facendosi spazio a fatica tra le altre memorabili immagini del passamano di mattoni e calce fatti arrivare dall'Enza per far venir su lo stabile o la lotta politica con un finalissimo di riconciliazione tra le parti («Ma i fascisti non potranno mai avere asilo a Cavriago, ci hanno fatto troppo male» dice uno dei protagonisti). Ma la costruzione per sequenze della vicenda tra ricordi, balli, risate e confessioni degli autori di quell’avventura epica muovono a un livello di partecipazione che supera la battaglia politica di partenza, dei comunisti contro i diccì, dell'Internazionale contro il sogno ma realizzato di don Remo, parroco di San Terenziano, di «mettere a posto i cavriaghesi». Non a caso è la banda del paese a scortare l'arrivo dei primi carri con sabbia e mattoni per costruire il cinema-teatro di tutti, anche dei nemici alla Magnani, che stava coi bianchi ma era tosto come un rosso. E per questo gli va reso l'onore delle armi.
Pareven furmighi, interpretato da una sessantina di cavriaghesi tra uomini e donne tutti coi capelli bianchi che parlano solo il dialetto di Cavriago, rappresenta con una narrazione veloce ma profonda che sovrappone ricordi e testimonianze dirette, uno spaccato toccante di uno sforzo di riscatto dagli anni bui della guerra e la corsa ideale verso la ricchezza non solo economica del boom degli anni Sessanta. Un messaggio accolto in sala dai giornalisti accreditati con attenzione, segno della efficacia della storia e dei suoi valori che vanno oltre il caso di Cavriago.
Da un anno, dopo una consultazione popolare e lavori di restauro, dentro le mura del Cinema Teatro Nuovo, ha aperto i battenti la Multisala Novecento, mille posti a sedere. Il 15 settembre sulla torta di compleanno la candelina illuminerà la prima proiezione in casa del film di Segre, che diventerà anche home video.