Daniele Silvia/ Il Corriere di Rivoli

“Un regista ha a disposizione un mezzo d’informazione potente. E potendo sfruttare questa possibilità, devo darvi un contributo di comunicazione e mostrarvi la realtà della vita. Questo che state per vedere non è un bel film”.
Con queste parole ha esordito la settimana scorsa al liceo Marie Curie di Grugliasco il regista torinese Daniele Segre. Da vent’anni è uno dei maggiori registi indipendenti del nostro paese, sempre attento a registrare la realtà sociale-lavorativa dell’Italia e i suoi problemi.
Ha affrontato nella sua lunga filmografia temi diversi, dal tifo di stadio, alla droga, alla vecchiaia, realizzando mediometraggi e film “di battaglia”, come per esempio “Dinamite” girato interamente in una miniera di carbone della Sardegna. Al Marie Curie, nell’ambito di un’iniziativa chiamata “Emergenza Ecstasy”, Segre ha proiettato “Sei minuti all’alba”, girato nel 1996 in Emilia Romagna, film-documentario che affronta con occhio curioso e indagatore la drammatica situazione delle stragi del sabato sera. Erano presenti tre classi del liceo, la terza H, la quarta B e la quarta F che hanno guardato con interesse la proiezione, essendo già stati coinvolti da qualche tempo nel progetto. Il film, passato anche in Rai, conta su svariate testimonianze di ragazzi emiliani, abituali frequentatori di discoteche della riviera, che raccontano con sincerità alla telecamera le loro esperienze.
L’accento viene posto soprattutto sull’uso di alcolici e di stupefacenti, sulle diverse tipologie delle discoteche, sul ruolo del gruppo nell’immaginario giovanile, sulle statistiche fornite da medici e funzionari di polizia sull’entità degli incidenti, sul rapporto genitori-figli, sulla paura di essere esclusi dei giovani intervistati.
Alla fine della proiezione gli studenti, con l’aiuto di una psicologa, la dottoressa Agnesone, si sono confrontati tra loro, dibattendo su un argomento conosciuto, e hanno ascoltato le parole di Daniele Segre, che ha spiegato le sue intenzioni e le sue convinzioni riguardanti la realizzazione del film. “Non è un film contro le discoteche – ha spiegato Segre – ma è un territorio in cui ci si può incontrare per discutere”. Il dibattito ha affrontato il tema del limite, limite che il giovane si permette di sfidare e superare andando più forte in macchina.
“Ma come facciamo a sapere quali sono i nostri limiti se non proviamo a superarli?” ha domandato un alunno. “Questo concetto di sfida è irritante – ha ribadito Segre – perché guidare calato e ubriaco a centottanta all’ora è una sfida immatura, che non ti permette di crescere”. Ciò che conta dunque è il senso di responsabilità e l’autostima, che permette di pensare con la propria testa, anche quando ci si trova in mezzo a un gruppo che spinge al conformismo. I ragazzi del film si sono dimostrati molto sicuri e ben consci del rischio che corrono ogni sabato sera, così come gli allievi del Curie sono stati pronti a condannare i comportamenti irresponsabili. “Non c’è bisogno di calare per andare in discoteca” ammette un ragazzo, e la psicologa ricorda il ruolo della musica, che è creata apposta per essere ascoltata sotto l’effetto di droghe. Così, i ragazzi hanno spiegato che il numero di gente che si ubriaca dipende dalla serata e dal luogo, nessuno di loro però racconta esperienze personali, forse frenati dall’ambiente scolastico. Daniele Segre ha concluso l’incontro raccontando la sua carriera cinematografica e illustrando le concezioni principali del suo cinema :”Fare il regista è un lavoro privilegiato ma faticoso, soprattutto se decidi di occuparti di problemi sociali. Il cinema deve essere usato per riflettere sulla realtà, come abbiamo fatto noi oggi”. Ha illustrato infine il lavoro fatto sul montaggio, particolare, che unisce toccanti primi piani dei ragazzi intervistati a scene reali di incidenti.
“Questo montaggio – dice – obbliga lo spettatore a entrare nella storia e a pensare al problema che gli è raccontato. Nel film un giovane si può riconoscere ed immedesimare anche solamente per un secondo, ed è questo che fa scattare la molla giusta, che fa pensare”.