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Ottantatre minuti, una sola lunghissima inquadratura frontale, Un tavolo, due sedie, uno sfondo chiaro. Due personaggi, posti uno accanto all’altro, parlano, discutono, si confessano, urlano, litigano e ricordano. Sono donne ormai sole, amiche che hanno scelto di passare le loro vacanze insieme in una casa al mare.
In camicia da notte, sfatte, depresse e ossessionate dalla vecchiaia, le protagoniste si confrontano in un dialogo sempre in costante progresso. Si passa dalla nostalgia del passato all’angoscia della perdita della bellezza, dall’insofferenza verso gli uomini all’impossibilità di comunicare. Agata e Letizia, questi i nomi delle due donne, lottano per sopravvivere ma il loro immobilismo è tragico e probabilmente definitivo.

Vecchie, ultima opera di Daniele Segre, è un film semplice ed estremo. Per niente banale e privo di cinismo e narcisismi stilistici. Il montaggio non interviene mai, la scenografia è spoglia, la macchina fissa, l’illuminazione spartana e dura. Il tono del racconto-dialogo, assolutamente naturalistico, fa emergere due figure che stanno sempre più appassendo e chiudendosi in un guscio dal quale forse non usciranno più.
L’esistenza come impossibilità di esprimersi nel dinamismo dei movimenti. Solo la parola, ormai divenuta unico strumento di comunicazione, viaggia incessantemente, rimbalzando tra le labbra delle due protagoniste, le quali spesso parlano senza guardarsi, si offendono reciprocamente, ridono, piangono, si disperano, e infine tornano a volersi bene.

Segre non rinuncia a descrivere la vecchiaia che avanza con sguardo diretto e acuto. Pone l’obiettivo davanti a persone che conducono nevroticamente le loro esistenze. Nella loro mente, però, non c’è più l’impulso nei confronti del futuro.
Le due spesso di alzano e rimangono davanti alla camera. L’inquadratura esclude le loro teste, evidenziando i corpi sformati e sottolineando la decadenza fisica di Agata e Letizia, donne con poche speranze e senza più amore.

La prova di recitazione di Maria Grazia Grassini e Barbara Valmorin è di altissimo livello. Tengono la scena per un’ora e venti minuti con la sola forza della loro espressività, tutta concentrata sulla recitazione e basata su pochi movimenti e gesti rituali: accendersi una sigaretta, sistemare i capelli dietro le orecchie, prendere un caffè.
Dice Daniele Segre: “L’incontro con le attrici Maria Grazia Grassini e Barbara Valmorin, coautrici con me della sceneggiatura, è stato determinante per sviluppare l’idea e farla diventare racconto”. Insomma, Vecchie è un lungometraggio nato da un sodalizio artistico tra un cineasta, estremamente rigoroso, e due interpreti, vogliose di mettersi alla prova, di misurarsi con lo spazio stretto ed implacabile dell’inquadratura fissa, un modo, questo, per affermare le loro notevoli capacità e per ribadire ancora una volta l’importanza del ruolo dell’attore, inteso non come mero esecutore degli “ordini” del regista ma come figura creativa in grado di elaborare in accordo con l’autore un complesso e ricco percorso poetico.