Aldo Fittante/ Film TV

Immagini scabrose espulse dal circuito mediatico omologato e piatto, conforme a modelli televisivi o un’idea di cinema che deve, prima di tutto, consolare e non disturbare per questo “Mitraglia e il Verme, l'ultima regia di Daniele Segre, nonostante sia pronta da mesi ancora non ha trovato una ribalta, un palcoscenico, un luogo, uno spazio dove potersi mostrare. Non lo ha voluto Venezia, sbagliando. Non lo ha voluto Torino, sbagliando due volte. Perché Mitraglia e il Verme, celandosi dietro una storia ambientata in un sordido cesso abitato da due personaggi che ben raffigurano mostruosità contemporanee e rabbiose tenerezze, elabora molti lutti affidandosi alla poesia di immagini che di volta in volta si annullano e si reinventano. Chi ha visto Vecchie, penultima regia di Segre (presentato alla Mostra di Venezia del 2002, uscito al cinema e trasformato in una pièce teatrale che è alla terza stagione di esauriti), sa di cosa stiamo parlando. E a tal proposito, vale la pena leggere queste righe. Oggetto: diniego film Vecchie “Interesse Culturale Nazionale”; la domanda è stata respinta. Motivazione: «Ha un impianto poco cinematografico, il rischio è che il film realizzato risulti noioso al pubblico». Ognuno tragga le sue simpatiche conclusioni. Nel frattempo sentiamo cosa ha da dire Daniele Segre.

«I direttori passano, i registi passano, ma i film restano». Daniele Segre, piemontese di Alessandria, torinese d'adozione, è basito, esterrefatto, sorpreso: dopo Venezia (dove avrebbe potuto tranquillamente gareggiare nella Sezione Digitale), la sua ultima fatica, Mitraglia e il Venne, è stata rifiutata anche dal festival della sua città che comincia a giorni (e di cui vi parliamo nelle pagine successive). «Sono colpito, preoccupato, addolorato. La genesi di questo film nasce da una forte indisposizione verso i tempi in cui viviamo. Mi sembrava mio diritto avere visibilità in una manifestazione che mi ha visto tante volte partecipe militante e affettuoso. Lo dico senza acredine: anch'io dirigo – assieme a Morandini e Costa – un festival, a Bellaria, e so che di fronte a una selezione ci possono essere dei no; ma non riesco davvero a capire come si possa dire che Mitraglia e il Venne sia un'opera non riuscita».

E allora, cosa credi sia successo negli occhi e nelle teste dei selezionatori di Venezia e Torino?
«Sono convinto che il film abbia una sua dignità e credo che dia fastidio perché racconta la realtà, attraverso una storia di finzione, senza filtri consolatori, con due personaggi che si nutrono di suggestioni surreali. Secondo me si ha paura di vedersi rappresentati: chi di noi è Mitraglia? Chi il Verme? Il mio cinema è un cinema scomodo e nell'Italia di oggi, che non ha voglia di specchiarsi, un film così fa scandalo. Tra l'altro penso che la negazione della visibilità di Mitraglia e il Verme sia altresì un'offesa alla straordinaria professionalità dei due attori protagonisti, Antonello Fassari e Stefano Corsi che, insieme a me, hanno scommesso su quest'opera. Ci tengo a ricordare, ancora una volta, che è un lavoro totalmente indipendente prodotto dalla mia casa di produzione, I Cammelli: è (per ora) solo su supporto digitale, è costato un anno e mezzo in scrittura, un teatro di posa, la scenografia, stop”.

Dopo lustri di documentarismo, da qualche tempo in qua ti stai avvicinando sempre più alla fiction: come mai?
«Il mio tentativo è sempre quello di percorrere un tragitto artistico all'interno di una profonda ricerca, non ho strategie: a volte faccio documentari, altre volte film, dal 1995 anche teatro. Ogni pezzo è un pezzo unico di questa ricerca; che non rinnega mai la realtà e si ciba di urgenze e Mitraglia e il Verme è un'urgenza. Chi l'ha visto finora ne è rimasto colpito»

Cosa credi accadrà ora?
«Malgrado i rifiuti di Venezia e Torino, le cose si stanno muovendo. Potrei andare a Rotterdam, a Bergamo, forse verrà distribuito nei circuiti d'essai dalla Lab 80. E quest'ultima è la cosa che mi preme maggiormente, perché un film che non incontra il suo pubblico non nasce, non può vivere»