Giovanna Boursier / Il Manifesto

Telecamere in movimento a Genova

I cortei e gli scontri visti dai registi. Tra le nuove emozioni del Gsf e le vecchie violenze della polizia
GIOVANNA BOURSIER

Il regista Mario Balsamo lo hanno pestato sul serio: “un’aggressione gratuita – dice – ci hanno bloccati e caricati. Eravamo quasi tutti giornalisti e fotografi. Io mi sono seduto per terra e ho chiuso le mani a riccio sopra di me. Per fortuna avevo un caschetto e quindi adesso ho solo contusioni. Ma erano in sei o sette, con i manganelli. Avevo la pettorina del “Cinema italiano a Genova” e gli gridavo “sono un giornalista!”. Forse per questo si sono fermati. Poi un poliziotto in borghese mi ha urlato: “voi del cinema italiano ci avete rotto il cazzo, adesso vi rompiamo tutte le camere!””.
Un vero e proprio set di guerra quello che descrivono registi e cineoperatori in questi giorni a Genova per raccontare e documentare. Ma un set che non è fiction. E’ realtà in una città militarizzata. Lo raccontano tutti quelli che siamo riusciti a raggiungere al telefono nel corteo di ieri. E sottolineano, anche, la diversità “dell’anima del movimento, estranea alla violenza pur nella sua eterogeneità”. Lo dice, per primo, Citto Maselli, animatore del progetto Il Cinema Italiano a Genova: “Le facce del corteo erano un panorama planetario che mi ha dato un’emozione incredibile. Mi ha ricordato il primo congresso sindacale mondiale, nel 1948, dove c’erano malesi e indiani che anche Di Vittorio guardava un pò esterefatto. Ebbi allora un’idea di cos’era il mondo. E qui l’ho avuta di nuovo. Il movimento mi è parso un mistero, sereno seppure con una coscienza drammatica della realtà. Poi i black bloc, impressionanti: agiscono con un’abilità quasi sportiva e con la piena protezione della polizia. Fanno il finimondo ma non hanno niente a che vedere con chi sta nel movimento”.
“Un movimento – secondo Paolo Pietrangeli – che porta finalmente aria viva, che a me mancava da anni. Con la voglia di cambiare anche contro le provocazioni”. “Provocazioni assurde – aggiunge Mimmo Calopresti – di gente che è capace di esistere solo attraverso lo scontro, con una radicalità inutile e sterile, oltrechè drammatica come i fatti hanno dimostrato”.
I black bloc li hanno visti tutti. Squadre organizzate che, dice Daniele Segre, “si lasciano dietro una scia di devastazione, senza che nessuno li fermi, liberi di agire contro il movimento. In un clima – aggiunge – che mi è sembrato davvero inquietante. Mi ha fatto pensare a uno stato di polizia. Le forze dell’ordine sembravano lì per attaccare, non per proteggere. In piazzale Europa, prima della tragedia, abbiamo visto poliziotti isterici scendere dai blindati. Partivano ordini secchi, nervosi. Poi le cariche e, su una protesta fondata e dignitosa, che era anche un momento incredibile di festa, è arrivata la morte”.
Eppure, conclude Luca Bigazzi, “ho visto anche immagini belle, nonostante per noi operatori la situazione sia davvero delicata, stretti tra due fuochi, quello della polizia e quello dei manifestanti che non vogliono essere ripresi. Ma mi hanno commosso le tute bianche che avanzavano come sospinte dal corteo. Erano belli quegli scudi trasformati, finalmente, in armi di difesa e non di offesa, fatti per proteggere un intero e immenso corteo”.