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lunedì 15 marzo 2010, alle ore 21:00, presso il Teatro Sant'Eulalia di Cagliari, verranno proiettati, con ingresso libero i films: DINAMITE (Nuraxi Figus, Italia), regia e ideazione Daniele Segre e L’ULTIMA CORSA, regia Enrico Pitzianti.

La proiezione verrà preceduta da una conversazione con il critico Gianni Olla.

L'iniziativa è realizzata in collaborazione a F.I.C.C. e Società Umanitaria – Cineteca Sarda.

Fine del lavoro operaio?

DINAMITE (Nuraxi Figus, Italia)

Regia e ideazione: Daniele Segre – fotografia: Franco Robust – montaggio: Daniele Segre.

Produzione: I Cammelli in collaborazione con CGIL Nazionale

Colore – Italia – 1994 – 53’

I minatori di Nuraxi Figus, l’ultima miniera di carbone italiana, situata tra Iglesias e Carbonia, occupano i pozzi per protesta contro l’annunciata chiusura dell’attività e minacciano di far esplodere le gallerie con la dinamite.

Il film è il racconto di questa lotta che appare quasi “fuori tempo”. Dentro la miniera, secondo Segre, si svolge infatti una teatralizzazione guidata da una vera sceneggiatura, quasi “finzionale”, che, giorno dopo giorno, cerca di concentrare la serialità degli eventi entro una sorta di estremizzazione dei conflitti di lavoro contemporanei: una ridotta, in precaria resistenza, o anche – come scrive Antioco Floris nel volume Daniele Segre, il cinema della realtà – una metafora generale della condizione operaia.

Ma sorge il dubbio – e non inficia affatto il valore del film – che questa teatralizzazione fosse già presente nel modo di costruire e di vivere la protesta. Cioè, che quella condizione operaia estrema, lontanissima dalle melodrammatizzazioni e dalla propaganda classiche del documentarismo militante, si sia costruita autonomamente – fin dal colpo di teatro del presidente Berlusconi che solidarizza, in piazza Montecitorio con i minatori e s’impegna personalmente a risolvere il problema – come un vero e proprio evento che, per inerzia, si protrae dentro la miniera, con i volti mascherati e la minaccia della dinamite.

Il fuori – che Segre inserisce doverosamente ma sbrigativamente all’inizio del film – fa parte, nonostante la nobiltà della lotta e le giuste ragioni dei minatori, della società dello spettacolo (come mancare, da parte delle televisioni, l’episodio di Montecitorio o i minatori che giocano con i candelotti?).

Il dentro ne è l’estensione obbligatoria: i minatori, consapevolmente, recitavano già un loro copione obbligatorio, l’unico in grado di mettere in agenda, da parte della stampa e dell’opinione pubblica, la loro protesta.

Segre, con il suo intervento finisce per avere il ruolo di quegli studiosi di antropologia, che con la loro sola presenza (e ancora di più se armati di macchina fotografica o cinepresa) influiscono sui riti che stanno documentando.

Le correzioni “politicamente accettabili”, alle quali accenna il regista, non si vedono – e sarebbe stato meglio farle vedere, perché sono parte della realtà e delle autorappresentazioni tipiche del regista – ma si nota però nel film un sottile slittamento dalla “rabbia” al “racconto di se”, ad una teatralizzazione, appunto, che sposta l’interesse del pubblico verso il mondo interiore degli ultimi minatori, che ancora considerano la miniera “una bella donna” da trattare con riguardo.

In questo senso, Dinamite è un film che va ben al là del tema contingente ed anche della metafora generale del lavoro operaio in una società che ha sempre meno bisogno (o almeno così sembra) di quei lavori manuali, seppure specializzatissimi.

Racconta infatti, la “totalizzazione” della comunicazione, il bisogno di un quarto d’ora di celebrità anche per poter far valere i propri diritti. Nessuno sfugge alla società dello spettacolo.