Andrea Sini – La Nuova Sardegna

C'è lo zampino di un giovane sassarese nell'ultimo- film di Daniele Segre, «Mitraglia e il verme», che verrà presentato al prossimo Torino Film festival. Per la sceneggiatura, il regista piemontese, considerato uno dei più importanti autori italiani del cosiddetto «cinema della realtà», si è avvalso della collaborazione di Antonio Manca, uno dei suoi allievi alla Scuola nazionale del cinema. Per il ventiseienne apprendista sceneggiatore si tratta di un'occasione importante per mostrare le proprie qualità in un campo nel quale emergere è particolarmente difficile. Qualcuno gli dà del «piccolo genio», lui preferisce definirsi fortunato e soprattutto innamorato del cinema. Manca ha fatto tutte le scuole a Sassari, si è diplomato al liceo classico e poi si è trasferito a Roma, dove si è laureato in Lettere moderne. Una strada già tracciata, la sua, con una direzione ben precisa: il cinema. Così quest'anno si è iscritto al corso triennale alla Scuola nazionale, nel «Centro sperimentale di cinematografia» della capitale. Mica un corso da poco: gli allievi ammessi a frequentarlo sono soltanto sei. E le lezioni danno la possibilità di farsi conoscere e apprezzare da docenti come Daniele Segre, appunto, che da qualche tempo sta lavorando al suo nuovo film.
Manca inizia a collaborare alla scrittura della sceneggiatura, con ottimi risultati, tanto che alla fine il suo nome compare accanto a quello del regista e dei due protagonisti, interpretati da Antonello Fassari e Stefano Corsi.
“E' stata un'esperienza eccezionale — spiega Antonio Manca —. Quando Segre mi ha chiesto di lavorare con lui ho accettato con entusiasmo. Considero la sua proposta un grande attestato di stima nei miei confronti. Inizialmente avevo un po' di timore, ma ho cercato di sfruttare al meglio questa grande occasione».

– Com'è il cinema visto da dentro?

«E' ancora presto perché possa farmi un'idea precisa. Per me che ho sempre sognato di entrare in questo mondo. naturalmente è tutto affascinante. Anche il corso che frequento è molto particolare, una specie di mondo ovattato. ma immagino che col tempo scoprirò anche le cose meno belle di questo lavoro. Arrivare sin qui rappresenta la realizzazione di un'aspirazione. Vedremo se sarò abbastanza bravo da continuare su questa strada».

— II futuro di Antonio Manca è nella sceneggiatura?

«Direi che è la parte che più mi interessa: la stesura della sceneggiatura è il momento più importante. A me è sempre piaciuto scrivere. Non dimentichiamo che non c'è solo il cinema, ma anche la televisione, che in questo momento in Italia è la strada più facilmente percorribile. Ma per quanto mi riguarda, il cinema è un'altra cosa…».

— Di cosa parla «Mitraglia e il verme»?

«E' un film molto particolare. Come forma si avvicina al genere di “Vecchie”, il precedente lavoro di Segre: è un lungometraggio con inquadratura fissa che si svolge nei bagni dei mercati generali di una grande città, che potrebbe essere Roma. Mitraglia è il responsabile delle vendite dei mercati: un personaggio strano, che soffre di calcoli e che rappresenta la parte più materiale. L'altro, Verme, è un perdente che subisce quotidianamente soprusi e umiliazioni e in un certo senso incarna i nuovi poveri: però è lui la figura che troneggia in questo contesto, che emerge moralmente sull'altra perché non perde di vista i veri valori e si rende spiritualmente superiore. E una storia surreale, con un tempo sospeso, con un forte richiamo alla contemporaneità».

— Come sta il cinema italiano?

«Da qualche tempo si parla di una rinascita. Speriamo che non sia una tendenza effimera. Credo che se una rinascita ci sarà, questa dovrà andare di pari passo con la crescita e la rivalutazione di tutti gli ambiti della cultura e dello spettacolo, non solo il cinema. Uno di questi è certamente la tv».

— E in Sardegna come siamo messi?

«Qualcuno accenna a una “novelle vague” sarda. Sinora la nostra isola è stata rappresentata quasi esclusivamente attraverso immagini convenzionali. Recentemente qualcosa sembra essere cambiato. E giusto rivendicare le nostre radici e le nostre peculiarità, ma un sardo può fare del buon cinema anche se racconta l'Italia e non la Sardegna. Non ci deve essere necessariamente un “filone sardo”. Basta che ci siano buoni autori: che trattino o meno della Sardegna non importa».