L’abbandono della Calabria può essere espresso in termini stilistici e allora si constata come essa ha il reddito pro capite più basso d’Italia, in termini economici, e allora si sente la precarietà di ogni tipo di infrastruttura pubblica, sanitaria, culturale. Nella depressione generale del Sud, la Calabria è la terza più depressa e quella dove la latitanza dello Stato è consolidata come le radici della storia. Una situazione più critica emerge nelle infinità di paesini sparsi negli entroterra, dove ogni tipo di protesta non trova mai sbocco e dove è sempre stato vietato il diritto di parola. Qui la presenza dello Stato si è avuta solo sotto forma di agente esattore delle tasse e ogni intervento sociale non ha mai travalicato le barriere dell’assistenza. In contrasto con questa visione assistenziale dello Stato, si pone invece la realtà di un popolo che ha sempre lottato per affrontare una sorte dura e ostica. Emergono vite vissute intensamente, elementi di una cultura che è sempre stata violentata, forze e caratteri tenaci, protesi ad un ricatto sostanziale, che si battono per far sentire la loro voce. Nel contesto di una situazione così disposta, vengono fuori denominatori comuni che hanno caratterizzato ogni ipotesi di sviluppo. Così non esiste persona che non abbia sofferto l’esperienza dell’emigrazione, non c’è famiglia che non abbia dato alla patria il suo caduto, non c’è uomo o donna che non abbia lottato per il progresso sociale. Rispetto al passato, il presente è mutato solo in conseguenza degli effetti dell’emigrazione. La gente rimasta in paese è poca, pochi sono i giovani e quelli che sono rimasti hanno davanti a loro, alla stregua dei loro padri emigrati, sempre lo spettro della disoccupazione.

Rassegna stampa

Leggi tutti gli articoli correlati