Rocco Moliterni / Il manifesto

Rosario di operai in cassa integrazione e fabbriche che chiudono, l dati sulla crisi industriale a Torino sono noti da tempo. Molto meno conosciuti invece i riflessi che la crisi ha sul tessuto cittadino, le interferenze con i malesseri «storici» di una metropoli cresciuta troppo in fretta. Diventa utile allora viaggiare nel sociale. scrutarne segnali e comportamenti, registrarne contraddizioni e insofferenze. Questo sembra proporsi “Cronaca”, un programma di Daniele Segre, in onda da giovedì 4 marzo sulla terza rete regionale (ore 19,30).
Quattro puntate di mezz'ora ciascuna come periscopio sul mare della crisi, nel suoi aspetti pubblici e privati. Si passa infatti dalle assemblee (tristissime) fuori dalle fabbriche ai colloqui del tossicodipendenti con gli operatori dei centri (la seconda puntata è da consigliare a tutti quelli convinti, grazie alla Lenad e a “Nuova società”, che i drogati siano incapaci di intendere e di volere), dalla Torino notturna dei travestiti ai dialoghi tra donne sul senso di “una maternità una città come questa”, dagli immigrati che coltivano orti sulla ferrovia a quelli (marito-e moglie, entrambi “cassintegrati”) che litigano sul ruolo del sindacato.
Segre non propone conclusioni o morali, si limita ad offrire una documentazione, a fare “cronaca” appunto, sfruttando l'esperienza accumulata in precedenti lavori sui fenomeni metropolitani (il tifo giovanile in “Ragazzi di stadio”, la droga ne “Il ciocco è relativo”, la musica “ribelle” in “Rock”, lo sport in “Marco Cipollino: pugile”).
“Cronaca” sembra portare alle estreme conseguenze una tecnica ormai collaudata. A rigore non si può più parlare di interviste: mancando la voce fuori campo a far domande, il piccolo schermo è tutto degli interlocutori scelti di volta in volta. Ad interrogare sembra essere così la telecamera stessa, davanti alla quale I vari “personaggi” si raccontano o dialogano tra loro. Operazione impensabile senza il talento del regista nello scovare persone che “tengano” lo schermo, nel farle sciogliere con naturalezza e senza imbarazzo. Più che con il montaggio, il rischio di annoiare per un eccesso di staticità è dribblato quasi sempre ricorrendo ad una “spettacolarizzazione” di gesti ed oggetti quotidiani.
Sovente infatti gli “intervistati” parlano armeggiando in cucina, preparandosi il caffè o mettendo su un disco. La telecamera si sofferma con insistenza, per aiutare a comprenderli, sugli oggetti di cui si circondano: il salotto “buono”, il televisore acceso, quel soprammobile, la bambola sul letto, il poster alle pareti. Realizzato per la terza rete regionale (che almeno in Piemonte sembra ovviare, pur nella povertà dei mezzi, alla carenza di scuole di regia offrendo a molti giovani un utile trampolino di lancio) il programma sarà probabilmente replicato con diffusione nazionale.