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C’è un filo rosso che accomuna i precari dei co.co.pro., le oltre 40 tipologie di contratto di lavoro esistenti, l’accettazione della flessibilità in nome di una maggiore competitività, l’uscita da Confindustria della Fiat con l’estensione da gennaio 2012 del contratto di Pomigliano a tutti gli oltre 86.000 dipendenti dell’azienda, e infine la recente riforma Monti dell’art. 18? Il filo rosso è la lenta erosione dei diritti in materia di rapporto di lavoro conquistati dagli anni sessanta in poi. Con ciò che, di questa erosione, ne è conseguito in termini sociali: precarietà, scarsa progettualità delle proprie scelte di vita, aspra competizione reciproca e crescita di divisioni fra i lavoratori, rinuncia alle proprie tutele pur di avere un’occupazione minimamente retribuita.

Di questo, ieri sera, 8 maggio, hanno discusso Daniela Meucci dell’associazione Cinema Arsenale e i delegati Fiom Giusy Di Pietro e Massimo Cappellini, dopo la proiezione del film di Daniele Segre Sic Fiat Italia, insieme al pubblico presente in sala.

Il documentario è un affresco sociale che – abbracciando un percorso iniziato nel gennaio 2011 in occasione del referendum imposto da Sergio Marchionne nello stabilimento industriale di Fiat Mirafiori, fino a giungere a fine 2011 quando la Fiat ha incrementato la propria partecipazione in Chrysler con l’acquisto di azioni – racconta questa lenta erosione dei diritti dei lavoratori. E lo fa con interviste in bianco e nero, tratte da precedenti lavori di Segre, agli operai sardi in lotta nelle miniere – che dichiarano di condurre le loro battaglie anche per gli operai di Milano – a metalmeccanici in pensione che raccontano come hanno conquistato i loro diritti (rispetto dell’orario di lavoro, diritto a non essere ingiustamente licenziati) fino agli operai di oggi, tra cui tanti migranti, che sostengono di essere costretti a lavorare a nero e di retrocedere sui loro diritti per un posto di lavoro, “perché si deve portare il pane a casa”. Interviste inframezzate dalle dichiarazioni di Berlusconi sulla necessità della flessibilità per mantenere il capitale in Italia, di D’Alema che in nome della produttività invita gli operai ad accettare le condizioni di Marchionne, di Sacconi, Ministro del Lavoro, che giudica queste condizioni positivamente. Solo Pietro Ingrao, nel film, dichiara una sconfitta della sinistra.

“Questo lavoro di Segre – afferma Giusy Di Pietro – racconta l’avanzata distruttiva compiuta dal mercato del lavoro a danno dei diritti. I lavoratori anziani nel film citano l’art. 18, quindi il diritto a non essere licenziati in maniera illegittima, citano il diritto alla pausa ovvero andare in bagno, poter mangiare, cioè diritti che hanno a che fare con la dignità della persona, e una lavoratrice cita la parità dei salari tra i generi. Oggi queste questioni sono sotto attacco. Basta pensare alla riforma dell’art. 18. L’unico modo per tutelare il lavoratore dal licenziamento illegittimo è garantire che l’atto illegittimo venga cancellato e che venga ripristinata la situazione precedente. Dare 12 mensilità di indennizzo non è tutelare il lavoratore, è monetizzazione di un’ingiustizia, e un paese che lo scrive nel proprio codice civile segna l’arretramento nella civiltà giuridica di una nazione”.

Se un merito lo ha avuto Marchionne, per Massimo Cappellini, delegato RSU Fiom Piaggio, “è stato quello di riportare l’attenzione sulla condizione reale dell’operaio in fabbrica, sulle sue condizioni materiali e lavorative non sostenibili, sui problemi fisici e di salute che ha chi lavora in catena di montaggio”. Di quelle istanze rivendicate dagli operai della Fiat col loro “no” al referendum di Mirafiori nel gennaio 2011, “i sindacati se ne dovrebbero fare carico e dovrebbero dare continuità alle loro battaglie, ai loro bisogni – continua Cappellini”.

“I lavoratori in quell’occasione sono stati lasciati soli ad una guerra fra operai. Ci sono dei limiti – continua – in tema di diritti sindacali e diritti civili, al di sotto dei quali non si va: si lavora, ma si lavora a certe condizioni, al di sotto delle quali si parla di sfruttamento. Questo ruolo di difesa delle condizioni di lavoro, i partiti politici lo hanno perso e se ne è fatto carico la Fiom che ha assunto suo malgrado un ruolo politico”.

Daniela Meucci, dell’associazione Cinema Arsenale, ricordando il minatore del documentario che difende i diritti di tutti, afferma che “tutte le divisioni e le settoralizzazioni fra i lavoratori, il fatto che ognuno tuteli esclusivamente la sua categoria, ha fatto perdere unità al loro potere contrattuale e quindi anche i diritti acquisiti e la forza del lavoratore. Bisogna trovare un momento collettivo per riunire tutti nella difesa dei diritti”.

Entrambi i relatori mettono in evidenza da un lato come “l’unità sindacale sia un fatto importante che però non si può però ottenere con compromessi al ribasso” e dall’altro che essa la si può ritrovare solo dopo che si è stati capaci di ritessere una vera unità tra tutti i lavoratori”.

Questa sera, all’Arsenale, il secondo appuntamento con i documentari sul tema del lavoro: alle 20,30 ci sarà la proiezione del film Cadenas, sulle donne barriera in Sardegna che aprono e chiudono i passaggi a livello ereditando un lavoro in linea femminile da generazioni.

Concludiamo con un estratto dal film di Daniele Segre, il racconto fatto da un migrante senegalese: “In Senegal diciamo sempre anche ad un elefante basta un giorno per morire. Non ho mai capito cosa voleva dire: per capirlo sono dovuto venire qui in Italia. Qui ho capito che l’elefante ero io, Huysman, e che per morire basta meno di un giorno. A me per esempio sono bastate soltanto due ore. Nei cantieri conoscevo solo una parola “in fretta, in fretta!”, anzi no, ne sapevo un’altra di parola “domani”. Ogni volta che chiedevo loro quando mi mettevano in regola, mi dicevano “domani, domani”. Il libretto non me l’hanno mai dato. Sarà per quello che quando sono caduto dal ponteggio non mi hanno mai portato in ospedale”.