Francesca Angeleri/Il Manifesto

“Il cinema deve intervenire e portare un contributo di riflessione sulla realtà, esprimere i segnali che manifestano un malessere di vivere. Il cinema e la cultura possono essere di spunto per una riflessione importante ed equilibrata sulla storia”. Questo il compito che, da regista, Daniele Segre sente di portare sulle sue spalle, ancora di più in questa carambola mediatica in cui “i media televisivi si occupano di certe tematiche solo attraverso la loro spettacolarizzazione. Creando un rapporto sfalsato con una realtà della quale il pubblico recepisce solo la morbosità. Invece il pubblico va nutrito. Io cerco di offrire un nutrimento culturale di sensibilizzazione rispetto
ad alcune delle questioni fondanti il nostro paese”.
Non disdegna però anche l’uso della televisione come mezzo di diffusione del messaggio che Morire di lavoro, il suo ultimo film, vuole trasmettere. Presentato in anteprima alla Camera dei deputati nello scorso mese di febbraio, il film ha ricevuto il sostegno di Giuseppe Giulietti per una sua messa in onda su una rete Rai. Obiettivo peraltro ad oggi disatteso nonostante a”credo che il film abbia il diritto, per qualità, di poter essere trasmesso dal servizio pubblico”.
Morire di lavoro è una lunga testimonianza sulle aberrazioni che quotidianamente avvengono nei cantieri della penisola. I protagonisti sono lavoratori italiani e stranieri; sono le mogli, le madri, le sorelle, gli amici di esseri umani che non ci sono più, che sono caduti da un ponteggio e non hanno ricevuto cure mediche perché se no il padrone andava nei casini; sono uomini e donne giovani e meno giovani che non saranno mai più quelli di prima, perché un incidente, che per la maggior parte dei casi poteva essere evitato o comunque prevenuto, li ha privati del loro diritto naturale ad essere “normali”. Su di loro si posa per attimi infiniti la telecamera senza però, va riconosciuto, indulgere su di un dolore che rimane comunque dignitoso, importante. “Nel film queste persone hanno la possibilità di esprimersi naturalmente senza atteggiamenti invasivi rispetto alla verità che
esprimono, rappresentando in questo modo un universo di 4 milioni e mezzo di persone. Quello che ne esce è un messaggio di grande dignità di questi lavoratori, muratori, manovali che esprimono l'orgoglio del lavoro che fanno”.
Morire di lavoro, fisicamente ma anche emotivamente. C’è quindi la morte corporea, reale e quella psicologica di chi è rimasto vittima di infortuni, persone lese in modo permanente “gli incidenti di questo tipo producono disagi sociali anche gravi come depressioni e suicidi. Ciò che si prospetta loro davanti è un futuro incerto non solo come lavoratori ma anche come elementi all’interno delle loro stesse famiglie, dentro le quali non si sentono più utili, non sono più un punto di riferimento perché non hanno modo di portare i soldi a casa”. Le testimonianze raccolte derivano da una collaborazione tra Segre e la Fillea, il Sindacato Costruzioni della Cgil. “Non ho speculato sul confine drammatico che mi si è presentato innanzi. Mi auguro davvero che il film possa servire come contributo a sensibilizzare tutti su questa questione. Mi auguro che, con l’insediamento del nuovo governo, quella della tutela dei lavoratori sia una delle questioni in primo piano. Bisogna ricreare in questo paese la cultura del rispetto delle regole e del senso di responsabilità, Bisogna insomma che diventi un paese maturo, in grado di fare qualcosa per sé e per gli altri”.
Torino-Milano-Napoli. Tre città, tre regioni a fare da filo conduttore alle storie. Ma anche l’Altare della Patria, in quanto simulacro più importante per la storia della Repubblica “il Milite ignoto rappresenta tutti i combattenti che hanno dato la vita per la patria. Ai morti sul lavoro credo che debba venire data la stessa dignità di coloro che l’hanno persa in campo. Per questo il film si conclude con le immagini dell’Altare della Patria e con l’Inno nazionale di sottofondo: perché é una cosa seria. Il lavoro è fondamentale per l’identità di un paese. Per questo motivo la dignità deve essere restituita ed il rispetto garantito”.