Paolo D'Agostini

Mi fa proprio un gran piacere sapere che il regista Daniele Segre ha realizzato un documentario-ritratto su Morando Morandini. Lo ha intitolato “Morando Morandini critico di frontiera”.

Morando, che si avvia agli 86 anni, è oggi uno dei tre decani della critica cinematografica italiana. Con Gianluigi Rondi e Callisto Cosulich che hanno rispettivamente tre e due anni di più.

Lombardo e pensatore libero sicuramente orientato a sinistra, Morandini ha attraversato anni ed esperienze forse subendo come tutti i condizionamenti per esempio ideologici del suo tempo – mantenendo comunque un’esemplare integrità – ma quel che conta di più impartendo e trasmettendo una grande lezione intellettuale nella pratica del mestiere e della passione che hanno occupato il centro della sua vita da almeno sessant’anni, anzi più.

La cosa più bella e importante. Pur nella sua autorità e autorevolezza (tratto che lo accomuna a Cosulich) è sempre stato estremamente aperto al confronto con ogni tipo di novità e di nuovo orizzonte. Sia nella instancabile curiosità verso film, autori, lnguaggi, movimenti e cinematografie, dimostrata per esempio nell’aver battezzato e a lungo seguito un piccolo festival italiano che ha avuto un importante ruolo esploratore soprattutto negli anni di Morando, tra Ottanta e Novanta, quello di Bellaria. Sia nel trattare le generazioni più giovani sempre con interesse, rispetto, grande capacità di ascolto e disponibilità allo scambio, con umiltà perfino eccessiva e neppure l’ombra di atteggiamenti autocelebrativi.

Insomma Morando non è mai stato quello che si dice un critico “paludato”. E sì che di motivi per darsi un po’ di arie ne avrebbe avuti e ne avrebbe. Dall’aver militato nelle file del Giorno quando ancora era un quotidiano innovativo, alla creazione della rivista Schermi che i giovani cinefili di allora (tra anni Cinquanta e Sessanta: per esempio Gianni Amelio che lo collezionava) ricordano con nostalgia, dall’aver colto con attenta sensibilità il nascere di personalità di grande spicco (Bernardo Bertolucci per il quale fu anche attore in Prima della rivoluzione), all’aver dato vita dal finire degli anni Novanta a quel suo Dizionario dei film (impresa che in condivideva con l’inseparabile moglie Laura), edito da Zanichelli, che è diverso da qualsiasi altro dizionario: selettivo, esposto, assolutamente onesto nelle sue scelte e nei suoi giudizi.

Non ha mai raccolto in volume la sua produzione giornalistica, e mi sembra anche questo un rispettabile e anzi ammirevole segno di modestia. Ma ha pubblicato una quindicina di anni fa un volumetto prezioso e giustamente fortunato: Non sono che un critico, dapprima per Pratiche editore e poi per Il Castoro. Chiunque si avvicini alla critica con il proposito di farne una professione dovrebbe tenerlo presente e averlo a cuore come un libro di testo, anche se – come al solito con eccesso di modestia – non fa niente per presentarsi come tale.