Simona Castagnotti / Il Paese Nuovo

Manila Paloma Blanca ha attirato l’attenzione generale nella “Vetrina del cinema italiano” alla XLIX Mostra internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, dove una giuria composta dai registi G. Pontecorvo, C. Lizzani, P. e V. Taviani, G. Montaldo e V. Orsini gli ha assegnato il premio Giuliano De Negri. II film, per la sua durezza e solidità, è in qualche modo scolpito dal regista, il torinese Daniele Segre, presente per la seconda volta a Venezia.
L’idea centrale di Manila Paloma Blanca nasce dall’incontro tra Segre e l’attore Carlo Colnaghi, interprete principale del film, dalla cui vicenda biografica il soggetto trae spunto. Al tempo dell’incontro tra i due, Colnaghi cercava di lasciarsi alle spalle una trafila di esperienze negative da cui era stato travolto, dopo aver vissuto un’intensa attività teatrale negli anni sessanta, dopo la formazione professionale alla scuola del Piccolo teatro di Milano, sua città d’origine, dopo un periodo di frequentazioni newyorkesi a contatto con Oldenburg e Rauschenber, e dopo aver fondato una compagnia teatrale d’avanguardia nella Yugoslavia di Tito.
Dall’intesa tra il regista e questa strana figura di attore-avventuriero-musicista (fra l’altro Colnaghi ha inciso un disco di Free Jazz con Steve Lacy), si è attivata una collaborazione che ha prodotto il video Tempo di riposo, considerato vera e propria prova generale del film. Da questo video, fra l’altro, sono stati tratti alcuni degli inserti in bianco e nero presenti nel film nei quali Colnaghi recita Buchner, Shakespeare e Pinter.
Protagonista di Manila Paloma Blanca è Carlo Carbone, un ex attore che vede la sua vita dissolversi nell’isolamento e tuttavia reagisce ancora, con furia disperata, inveendo, in una scena all’inizio del film, contro un mondo indifferente e privo di emozioni. La solitudine, la follia tamponata e soffocata nei repartini delle Molinette, e poi psicofarmaci, delusioni, pranzi consumati alla mensa dei poveri: sono gli elementi che si stratificano nell’esistenza di Carlo Carbone e ne compongono il dramma. L’incontro felice con una giovane donna, Sara Treves, forse solo incuriosita dalla stranezza del personaggio, coincide per il protagonista con la possibilità di intravedere una reale ripresa. Carlo inizia così a scrivere un monologo che vorrebbe proporre ad un amico regista: ma sarà ancora delusione.
La presenza scenica straordinaria di Colnaghi (che rivedremo presto in Veleno di Bruno Bigoni) invade lo schermo e delinea un personaggio a più dimensioni, con il rischio, per la verità, di penalizzare gli altri ruoli. La fotografia sgranata e cupa, voluta da Luca Bigazzi, ben corrisponde all’intenzione originale di Segre, così come le suggestive musiche di Giuseppe Napoli e le scenografie di Elena Bosio. Manila Paloma Blanca conferma e consacra, non solo la capacità tecnica del regista, ma anche il suo impegno nel dar voce a situazioni difficili e scomode, la sua capacità di fa urlare (si pensi a lavori come Vite di ballatoio, Non c’era una volta, ecc.), voci di solito soffocate, o volutamente inascoltate.