Tullio Masoni, Carlo Vecchi/Cineforum n.314

Tempo di riposo nasce dall’esigenza di riattivare le capacità attoriali di Carlo Colnaghi più che in funzione di Manila. è stato un lavoro di ricerca per verificare se Carlo era ancora in grado di rapportarsi alla messa in scena. II video è stato una nuova stazione importante rispetto al mio modo di lavorare, ragionare e interpretare la realtà, in questo caso portando l’esasperazione del linguaggio a livelli ancora più alti rispetto a Vite di ballatoio, per fare un esempio. Qui c’è stata un’ulteriore contaminazione fra la finzione e la realtà. In questo caso disponevo di uno strumento -un attore – che mi permetteva anche più possibilità di giocare in questo terreno strano, ambiguo, in cui ritrovo sempre meglio la mia identità come regista.
Per un artista a volte il tempo di riposo può rappresentare il tempo dell’angoscia, il tempo dell’attesa, un’attesa che a volte non finisce mai e che diventa devastante da un punto di vista psicologico. Nel caso particolare, è riferito a quel tempo che non è assolutamente definito nel momento in cui tu inconsciamente stacchi la spina con la realtà e ti trovi in una situazione estremamente precaria Gai punto di vista psicologico e il confine tra la norma, le regole quotidiane, il vivere dentro una comunità si mette in discussione con il tuo non vivere che provoca dei disturbi, determina delle destabilizzazioni, genera situazioni al limite della follia, se non addirittura di follia, che non necessariamente sono di carattere patologico, ma sono dovute all’eccesso di sensibilità con la quale tu esprimi il tuo modo di esistere, di comunicare. è una situazione di grande fragilità, dove sei totalmente scoperto e aperto a qualunque tipo di violenza, violenza in questo caso interna al sistema che vive con altre regole e altri ritmi.
Quindi, nel momento in cui Carlo è stato chiamato qua, innanzi tutto è stato attivato un rapporto umano, che gradualmente ha generato idee: l’idea di scrivere Manila, che poi è stata rivista con l’amico Davide Ferrario. Non è comunque stato facile iniziare, nel senso che io per qualche tempo ho avuto dei problemi miei nel rapportarmi a una personalità così complessa e così difficile come quella di Carlo. Poi, improvvisamente mi sono trovato cosciente di una forma espressiva che credevo di non possedere e quindi tutto si è generato rapidamente come se mi fossi posto davanti a dei fogli bianchì e di getto fossi riuscito a riempirli. Questa incubazione è però durata quattro anni, nei quali il rapporto con Carlo è andato avanti: viene quasi tutti i giorni alla “Cammelli”, dà una mano, collabora con la cooperativa e in più sistematicamente ha ripreso a misurarsi con la sua precedente attività, quella dell’attore: legge, è a contatto con certi testi, con un universo al quale voleva appartenere ma dal quale si è allontanato per problemi di carattere psichiatrico e atteggiamenti di rifiuto di un mondo poco sensibile. Ho trovato in lui l’attore ideale, che poteva rappresentarmi al meglio, perché lui stesso non viveva questa situazione solo da un punto di vista intellettuale, ma come uno che aveva tentato di fare l’attore, attraversando in modo violento i rifiuti, le rabbie, le delusioni e anche l’autodistruzione. Era lo strumento ideale per mettere in piedi questa storia. Nel momento in cui ci siamo messi all’opera direi che ci siamo usati a vicenda, con grande correttezza e rispetto umano. In alcuni momenti è stato veramente grande. Nel Woyzeck, ad esempio, gli ho chiesto di riprodurre la dislessia, lui che nei momenti di crisi, in passato, l’aveva anche avuta. E stato eccezionale, ha riprodotto un fatto patologico, è stato un bravo attore capace di convogliare nella forma espressiva tutta la sua esperienza personale, anche la malattia. Glielo ho chiesto trenta secondi prima di girare, lui l’ha fatto. Il film è stato presentato a Stoccolma, a un congresso di psichiatria, come un caso di schizofrenia risolto. Alcuni psichiatri americani si sono messi a piangere. Il video è servito a Colnaghi a riprendere contatto con la vita.
In qualche modo. attraverso Tempo di riposo sono riuscito a mettere a fuoco i miei incubi. è un bilancio di anni trascorsi, di attività che mi ha trovato in terreni diversi, con individui -chiamiamoli così – diversi. Ma quasi tutti caratterizzati da una non identità che in qualche modo mi contaminava perché appartenevano al mio mondo. E questo mi ha generato e mi genera ancora molti incubi, legati al quotidiano, legati all’espressione, alla mia identità culturale. lo non mi sento di appartenere assolutamente al contesto culturale nel quale vivo, anzi in modo forte ne debbo stare a debita distanza perché quelle poche volte che malauguratamente mi sono fatto incastrare ho perso solo tempo con gente mediocre. Credo di sapere chi sono e, più o meno, quello che voglio.
Certi contatti mi hanno molto angosciato per la povertà di idee e le meschinerie di cui ho dovuto essere testimone, da parte di una generazione inquinata e poco creativa. Questo mi ha generato degli incubi relativi a quello che sono io, a quello che voglio essere e, essendo il cinema – o comunque questa forma che ho scelto per comunicare – un lavoro collettivo, alla necessità di stabilire delle alleanze. Negli anni passati c’è stata con molta serietà la voglia di creare queste alleanze, che purtroppo hanno generato il nulla: grandi velleità. tempo perso. Tempo di riposo in fondo mi ha aiutato a recuperare la serenità perduta, a rimettere a fuoco in uno scenario devastato i bisogni che mi appartengono. Credo di essere riuscito quest’anno a dare un’esatta cifra di quello che sono sul piano del sentimento e delle emozioni. Non sono solo dolce, sono anche arrabbiato, non sono solo poetico ma anche indignato per la mediocrità e la mancanza di coraggio che in questo momento appartiene un po’ a tutti quanti. Attraverso Carlo, in modo così disperato, sono riuscito a dire: “No, io non voglio appartenere. Voglio essere. Non voglio che il mio cervello sia noleggiato per appartenere a qualche famiglia mafiosa idiota che crede che solamente attraverso un certo tipo di cinema si possa aver successo”.