Rosy Moffa Bosco e Emilio Jona/Ha Keillah

Assistendo alla proiezione del film di Daniele Segre Sinagoghe – Ebrei in Piemonte, una cosa mi pare certa: l'autore è convinto che l'ebraismo piemontese sia cosa morta. Le immagini sono certamente suggestive, ma andando oltre il risultato puramente estetico comunicano un senso di passato, più o meno remoto, magari perfino recente, ma morto. Scale buie, vuote; corridoi vuoti; sinagoghe splendide nella loro bellezza discreta, vuote. O peggio che vuote: con dentro una persona sola, intento custode di ricordi. Mi si dirà che le sinagoghe di Biella, Saluzzo, Cherasco sono realmente questo: vestigia del passato che oggi non possono che essere musei. è vero. Ma parafrasando il detto “è il tono che fa la musica” si potrebbe dire, trattandosi di un film, che “è l' immagine che fa il messaggio”: non è il testo, non è la bellezza dell'immagine, ma il suo taglio e soprattutto il suo insistente reiterarsi che fan sì che perfino ciò che è indiscutibilmente vivo appaia altrettanto morto. E fra tanto “passato” è difficile recepire il “presente” come tale. Accade quindi che anche le riprese dei bambini a scuola (i nostri bambini, quelli che ogni sabato cantano al tempio, che strillano per incontenibile esuberanza e che è così difficile tenere tranquilli), sembrino una ricostruzione, allestita a beneficio del regista e del suo potenziale pubblico; che la “foto di gruppo” di giovani e vecchi della Comunità di Torino sembri uscita fuori da un vecchio cassetto dimenticato; che la descrizione fatta da Lia Tagliacozzo della Comunità di oggi assuma il tono di un documento d'archivio.
Last but not least: perché la musica klezmer? Perché quel clarinetto che, con i suoi aspri suoni di risa e lamenti lontani nel tempo e nello spazio, contrappunta incongruamente il barocco piemontese della sinagoga di Casale o il falso moresco delle cupole del tempio torinese? Perché quel viso, intenso e stralunato, che pare capitato lì per caso dal set in cui si girava un film su Singer? Non è troppo facile ricorrere all'equazione stereotipata e di moda ebrei=musica klezmer? Il fatto che si ascoltino anche alcuni canti locali, intonati da Rav Weiss Levi e da Franco Segre, non fa che rendere ancora più stridente la scelta precedente.
E anche parlando di musica il discorso torna daccapo. Con suggestione struggente Alberto Jona intona il Kaddish di Ravel in un tempio di Mondovì cupo e deserto. Il canto di Hanukkah di Franco Segre introduce una serie di immagini di hanukkiot che nessuno accende, davanti a porte di aronot ha-kodesh chiusi. (Rosy Moffa Bosco)

E' difficile dissentire da Rosy Moffa. Anch'io avevo pensato cose nella sostanza non diverse sull'accompagnamento musicale giocato su accattivanti registri estranei al nostro mondo sonoro, sull'irreale splendore chagalliano delle immagini e sui limiti di una lettura mortuaria del Piemonte ebraico.
Ma è anche difficile negare che le sinagoghe piemontesi, filmate da Daniele Segre con struggente partecipazione, vuote di ogni pratica di culto, siano da contemplare solo più come archeologia religiosa e bellezza di ambienti e decoro.
A Mondovì, per fare un esempio, nella sinagoga di recente mirabilmente restaurata, si vede un solo vecchio ebreo che racconta; ma è proprio così, quello è l'ultimo ebreo rimasto ad abitare quei luoghi.
“Sinagoghe” è dunque il vissuto e la rappresentazione di un artista che rivolge all'ebraismo piemontese il suo sguardo, che è accorato, barocco, nostalgico e anche impietoso, si considerino i volti dei testimoni scrutati a distanza ravvicinata in un feroce iperrealismo. E in questo contesto esso si giustifica e si comprende.
Esso invece non è un documento esaustivo sull'ebraismo piemontese (ma lo voleva essere?), perché di esso non offre una storia leggibile e attendibile per quanto riguarda il suo percorso e il suo presente. Comunque perché non discuterne con l'autore? (Emilio Jona)