Emanuele Montà / La Stampa – cronaca di Torino

I riflettori si sono accesi al Museo nazionale del Cinema di Palazzo Chiablese. Il regista torinese Daniele Segre sta girando un documentario sulla storia di questa istituzione culturale che racconta lo sviluppo dell'arte cinematografica italiana ed è nata a Torino all'inizio del secolo. Sarà proiettato nella primavera del prossimo anno quando, conclusi i lavori di trasformazione in cineteca del Massimo, verranno inaugurate tre nuove sale di proiezione; primo passo verso la realizzazione della Città del cinema e il trasferimento delle collezioni al Palazzo degli Stemmi.
Naturalmente la protagonista del filmato sarà la dottoressa Adriana Prolo, 80 anni ben portati, che all'inizio degli Anni Quaranta ha avuto l'idea di ordinare in un unico locale le collezioni. Per niente a disagio di fronte alla cinepresa, Adriana Prolo segue il regista come un'attrice di provata esperienza, facendo quei gesti che per decenni ha ripetuto stando dietro la scrivania del suo ufficio di direttrice. Dice: “Anche se si tratta di finzione è un po' come andare indietro nel tempo, riscoprire gli anni in cui il museo era soltanto un bel sogno annotato sulla mia agenda del 1941”.
Aspirazione diventata realtà il 7 luglio del '53 con la costituzione dell'Associazione museo del Cinema e nel 1958 con il trasferimento del materiale, raccolto per 16 anni negli scantinati della Mole, nell'ala di Palazzo Chiablese ora chiusa per inagibilità.
Il filmato, spiega il regista, ripercorrerà le tappe più significative della storia del museo: dalle prime ricerche di manifesti e di macchine cinematografiche fino agli avvenimenti degli ultimi anni quando la dottoressa Prolo lasciò la direzione.
Ma lei, “la dottoressa”, con la sua memoria di ferro, non vuole essere come un qualsiasi personaggio nato dal copione. Il museo del Cinema è una sua creatura e per la fantasia c'è poco spazio. Aggiunge: “Bisognerà parlare dei miei incontri con il regista di Cabiria, Giovanni Pastrone, con l'avv. Gromo e con il prof. Valletta. Sono loro che mi hanno dato la forza di continuare, di vincere lo sconforto quando non avevo denaro sufficiente per acquistare materiale prezioso per la collezione”. Sono ricordi di 40 anni di lavoro che tornano alla mente di Adriana Prolo mentre la cinepresa compie carrellate su vedute d'ottica, lanterne magiche, pantoscopi, diorami, acquistati con il contributo della Cassa di Risparmio di Torino e della Fiat: “Mi avevano dato 9100 lire”.
Adriana Prolo resterà sul set soltanto il tempo strettamente necessario per consentire al regista, mio grande amico, di girare le scene che la riguardano; poi tornerà nell'ombra, ai suoi studi e alle sue ricerche. Sta scrivendo il secondo volume della Storia del cinema, opera impegnativa che intende terminare nei tempi concordati con l'editore a costo di rinunciare alla sua grande passione: vedere un film. Ha, infatti, preso un impegno con se stessa: “Niente cinema fino alla conclusione del lavoro. Neppure televisione che, tra l'altro, detesto”.
Della futura “Città del cinema” non vuole parlare, sul Palazzo degli Stemmi come sede delle raccolte e della biblioteca ha più volte espresso la sua opinione: “Sono contraria alla scelta, non mi piace un museo a due piani. Meglio sarebbe stato Palazzo Reale”. Nel suo cuore c'è la segreta speranza. Vederla realizzata nei tempi previsti: 1990.