Emanuele Rauco / www.radiocinema.it

La 12/a edizione del Festival del Cinema Europeo di Lecce ha aperto i battenti (proseguirà fino a sabato 16 aprile) all’insegna della commistione tra presente e passato, come giusto per una rassegna che ha fatto della ricognizione delle tendenza del cinema continentale un suo cavallo di battaglia. L’apertura ufficiale del festival è avvenuta con Henry, il nuovo atteso (gestazione produttiva di quasi tre anni, ancora senza distribuzione) film di Alessandro Piva, già autore di La capa gira e Mio cognato: una storia nera di droga e criminalità – Henry è il nomignolo dell’eroina – girata in una Roma periferica squallida e cupa: peccato che le ambizioni realistiche del regista, con tanto di confessioni in camera, si svendano a un tarantinismo di bassa lega, manierato e senza invenzioni formali sufficienti a riscattarne il dilettantismo (e il basso budget non è una scusante).
Meglio, molto meglio Lisetta Carmi, un’anima in cammino di Daniele Segre, già presentato a Venezia: ritratto di una donna che ha cercato il proprio percorso attraverso le forme d’arte, dalla musica alla fotografia, approdando alla spiritualità. Segre – e Carmi – lavora su se stesso e il rapporto con gli altri e conquista il pubblico con la forza dell’evidenza. Ma il festival punta molto anche sulla memoria storica del cinema: centrali diventano gli omaggi. A Toni Servillo, eletto a simbolo del cinema italiano contemporaneo e protagonista di una retrospettiva accurata; a Paulo Branco, storico produttore e simbolo del cinema europeo, omaggiato con 5 film selezionati; a Emidio Greco, regista storico di un cinema non commerciale a cui Lecce dedica una retrospettiva integrale e preziosa. C’è anche un concorso: 2 i film in gara, ogni giorno. Si comincia con l’olandese Brownian Movement, che racconta l’attrazione segreta di un medico per i suoi pazienti, quelli più lontani dall’ideale borghese di bellezza, e il polacco Erratum, che racconta il forzato ritorno di un contabile nei luoghi della sua infanzia e della sua memoria. Due film che rafforzano l’idea, anche stilistico, di un cinema europeo dall’identità forte e peculiare.