Annarita Merli Tarchi / La Stampa

Ha gli occhi azzurri un poi infantili, i capelli ricci arruffati e gioca con una vecchissima cagna bianca di nome Pasquala (Perché l'ho trovata il giorno di Pasqua”).
Sui prati del Valentino. Un' immagine di serenità, in contrasto con quelle che ci ha dato finora. Daniele Segre, vent’ anni, alessandrino di nascita e torinese di adozione, è l'autore dei “Ragazzi di stadio”, delle immagini violente, indimenticabili di una realtà che è qui, vicino a noi, in mezzo a noi. «Ho cominciato come fotografo — dice Daniele — e lo sono tuttora. Anzi mi sento più maturo come fotografo che come regista. Perché ho fatto il passo da fotografo a regista? Ma, mi sembra naturale che l'interesse per l'immagine fissa si estende all'immagine in movimento, cioè al cinema. E, come fotografo, ho cominciato a scrutare la realtà che mi circonda, questa città difficile, che è Torino, che amo molto».
L'elenco delle suo opere come regista è breve, ma ogni volta che Daniele Segre ha fatto qualcosa ha colpito nel segno, a partire da “Perchè droga”, girato nel '75 per l'Unitelefilm a Mirafiori Sud (“Ma oggi lo rifarei diverso – dice subito — perché in cinque anni sono cambiate tante cose”), a “II potere deve essere bianconero”, del '78, che anticipava già il tema di “Ragazzi di stadio”.
“Leggevo delle scritte politico-sportive strane, che mi incuriosivano -spiega Daniele – Così ho scoperto una certa realtà giovanile. Fatta di delusione rispetto alla politica, di ragazzi che si costruivano un mondo proprio nel quale portavano un linguaggio “copiato” dalla vita politica, con dei risultati stranissimi”.
I “Ragazzi di stadio” hanno avuto un libro, una mostra fotografica (presentati all'Unione culturale nello scorso novembre) e un film trasmesso per televisione in maggio.
“Ragazzi di stadio” sono il risultato di una ricerca e di un lavoro durato complessivamente due anni e mezzo. Più veloci gli altri lavori: “Carnevale in quartiere”, trasmesso per televisione in febbraio, “I Mercati generali”, andato in onda il 22 luglio e “Tempo vacanze”, trasmesso il 31 luglio. “Lavorare per la televisione con i tempi che la RAI mi impone mi serve molto – racconta Segre – La Terza Rete, col decentramento produttivo che ha determinato (anche se non ancora perfetto) è una grossa occasione per i giovani, per chi abita lontano da Roma, dal grossi centri di potere. La possibilità di lavorare, di imparare, è fondamentale – e qui il tono si fa polemico – perché è facile mettersi dietro la macchina da presa e dire che si fa del cinema. Invece, per fare del cinema serio, occorre studio, ricerca, professionalità.- Di gente che si improvvisa e pasticcia ce n'è tanta, troppa, anche qui a Torino”.
Tace un momento, poi aggiunge: “Non lo dico per presunzione, al contrario lo dico con modestia. lo voglio arrivare a fare il film a soggetto, ma non mi sento ancora maturo. Anche se ritengo il film documentario un genere validissimo. Qui in Italia non va molto, ma all'estero ci si dedicano anche registi di grande valore. E documentare la realtà che ci circonda è importante. La gente deve sapere, deve conoscere». Riprende la polemica di prima: «Certo che se per documentario si intende un lunghissimo primo piano fisso di una persona che parla. che racconta la sua storia, allora non ci siamo, il cinema è immagine, è spettacolo. Se non c'è questo la gente si annoia. Ma di gente impegnata in questa ricerca ce n’è poca. Un motivo dell'attuale crisi cinematografica,oltre al fatto che i vecchi “baroni” non vogliono cedere di un millimetro il potere che hanno, è che, a forza di pressappochismo e di conformismo, i giovani non hanno nulla da dire e lo dicono male. Infatti Moretti e Nichetti che avevano qualcosa da dire sono riusciti a fare del film interessanti. Il rigore, dunque è la caratteristica di questo giovane regista, che si sta affermando, che ha avuto recensioni molto lusinghiere ma che dice anche: “Per fare cose valide bisogna essere se stessi, non svendersi, non piegarsi a nessun tipo di potere. Bisogna essere insomma “meno abbagliati dal luccichio dell'oro”, è come diceva Majakowskij. lo lavoro con la RAI, col Comune di Torino (per “Ragazzi di stadio”) perché finora non ho trovato mai un condizionamento di nessun tipo. Il giorno che ne trovassi non mi ci adatterei. Quel po' di gloria, di gratificazione che c'é a lavorare per la RAI, ad esempio, non mi interessa al punto da modificare quello che ho da dire. Preferisco rimanere me stesso”.