Simona Pellino/Il Messaggero

Se ne parla tanto e male. I giovani: questa strana categoria inscatolata tra i diciotto e i trent'anni. Il regista Daniele Segre ha tentato di conoscerli e di far(ce)li conoscere, semplicemente, con ironia e senza (pre)giudizi. «L'opinione – ha dichiarato – la lascio allo spettatore».

Volti: risposta d'autore a Lucignolo?

«Non c'è questa pretesa. L'offerta è una tavolozza di colori: ognuno ha il suo modo di raccontare e io non sono un giornalista».

L'idea di accostarsi ai giovani è nata in seguito alla sua esperienza di insegnante?

«E stato il dirigente Rai Andrea Salerno a suggerirmi la tematica giovanile. La mia esperienza, però, mi è stata senz'altro molto utile. Senza, non so se avrei avuto la stessa facilità di approccio».

Come ha scelto le tappe del suo viaggio?

«Mi sono recato nei luoghi in cui ero certo di poter trovare molti giovani motivati e determinati».

Dal Teatro Stabile di Torino, ai ragazzi di Bellaria. E poi, Capodarco Veneto, Milano e Chieri. Manca il Sud, perché?

«E’ stata una scelta forzata e me ne rammarico molto. Se il programma va bene, il viaggio toccherà anche il Sud. Fortunatamente, molti dei giovani che ho incontrato sono di origini meridionali, per cui il campionario umano è molto diversificato».

Fino ad oggi ha sempre diretto film su realtà disagiate. Adesso, invece, si trova a documentare situazioni positive, dove le cose “funzionano”. Cosa c'è dietro questo cambio di registro?

«Volevo capire se c'era ancora qualcosa in cui credere. Confrontarmi con i giovani è stato anche per me molto stimolante: ho avuto da loro risposte sorprendenti e mi sono stupito della loro fiducia e della loro disponibilità nei miei confronti».

Secondo lei, i giovani si sentono rappresentati dalla tv? Noi vediamo i ragazzi del Grande Fratello…

«La tv è un media potente: proietta stereotipi affascinanti che sono frutto di studi di mercato, ma che non hanno niente a che vedere con le persone vere. Dinanzi a questo processo di espropriazione alcuni giovani riescono a reagire, ma altri si lasciano condizionare. Non è facile essere se stessi…».

Aveva chiaro fin da subito come girare?
«All'inizio ho attraversato una vera e propria crisi di linguaggio in una tv inflazionata da finti reality show, non sapevo come far sembrare vero ciò che lo era sul serio…».

Come ha superato questo “impasse”?

«Stabilendo un rapporto autentico con i ragazzi e condividendo totalmente le loro esperienze».

Era il “tranello” in cui non voleva cadere?

«Non volevo perdere la mia capacità di ascolto cosa che, a volte, può capitare. E importante, invece, che chi sta dall'altra parte scorga sempre l’anima.. ».