Nino Ferrero/Cin’occhio

Giovane cinema torinese a Venezia. Sì, proprio al Festival, quello grande, importante. Alla Quarantesima Mostra Internazionale, cioè, quest’anno diretta, con intenti innovatori, da Gian Luigi Rondi. La notizia è fresca, fresca; di questi giorni. Nella sezione «De Sica», «inventata» per ospitare soltanto «opere prime» italiane, è stato invitato il film “Testadura” del giovane regista torinese Daniele Segre. In quella stessa sezione vi sono in tutto dieci neoautori cinematografici, tra cui Gabriele Lavia con la trascrizione filmica del Principe di Homburg; Gabriele Salvatores, con lo shakesperiano “Sogno di una notte di mezza estate”; Renato Meneghetti con lo sperimentale “Divergenze parallele”; Sauro Scavolini con “Un foro nel parabrezza”. Insomma, una sorta di «ballo dei debuttanti» da cui potrà, forse, saltar fuori l’outsider dell’anno; la scoperta o le scoperte — meglio ancora — di nuovi talenti per il cinema italiano.
Intanto, tra i molti giovani cineasti torinesi, più o meno in procinto di «cacciar fuori la testa dal sacco», per ora è toccato — e meritatamente, lo dico subito — a Daniele Segre. Comunque, credo, spero che la notizia giunga gradita anche agli «altri»; ai tanti altri, recentemente riunitisi nell’«ACT!» (sì, con tanto di punto esclamativo), che è poi la Associazione Cineasti Torinesi, con sede al numero 7 di via Nizza. Scrivevo giusto l’altro anno, in questa stessa rubrica, che il «Nuovo Cinema Torinese», anche se ancora non si poteva parlare di vera e propria «corrente., di «ondata» tipo «Nouvelle Vague» francese Anni Sessanta, incominciava comunque ad essere una realtà di cui tener conto. Poi, in settembre, sempre dell’anno scorso, vi fu il grande avvenimento del “Festival: Cinema Giovani” in cui parecchi torinesi con macchina da presa mostrarono buona grinta (tra questi Segre, che a quel Festival ebbe addirittura una “personale).
In effetti, allo stato (attuale) delle cose, per dirla con Wenders, oltre al film di Segre, in procinto di sbarcare a Venezia, vi sono almeno altre tre o quattro pellicole, e magari anche qualcuna in più, in avanzatissimo stato di lavorazione, tipo «montaggio», come “D.I.o.F.à” (leggi: diofà!), di Vincenzo Badolisani (ma il titolo è provvisorio, comunque, oltre all’esclamazione tipicamente torinese, il titolo, con le sue iniziali puntate, vuol anche significare «Deutch Italiansche Freunschaft», cioè «Amicizia tedesco-italiana»), o ancora, “Pirata!” del giovane Paolo Ricagno, attualmente in fase di sonorizzazione a Roma; “Lio Detector” di Mario e Stefano Della Casa e Guido Chiesa, che verrà presentato quanto prima al “Chaplin 2” e “Illusione” di Alex Carmeno e Dario Brondello (stanno girando le ultime riprese in India).
Situazione piena di promesse quindi, per una Torino che non ha dimenticato di essere stata, tanti, tanti anni fa, la culla del cinema italiano. Chissà…? Ma rieccomi al nostro Daniele Segre ed al suo «battesimo» veneziano. Di nascita alessandrino — ha 31 anni — vive e lavora a Torino dal ’63. Giovane quindi, ma già con una biofilmografia di un certo interesse. Dall’atletica, in cui, per il salto triplo ha più volte indossato la maglia azzurra, è passato, quasi per caso, alla fotografia. «Sì — mi disse durante una chiacchierata di qualche mese fa — ho iniziato come fotografo di strada. Poi sono capitato sul set di “Matti da slegare”, facendo il fotografo di scena per Bellocchio e Agosti».
Dalla macchina fotografica a quella da presa, il passo è stato, se non proprio facile, abbastanza breve, e le prime immagini in movimento realizzate da Daniele, si concretizzarono nel ’76 in “Perché droga”, un cortometraggio in 16 mm. e in bianco e nero, realizzato per l’Unitelefilm, in cui il drammatico problema veniva analizzato e denunciato in uno dei quartieri «dormitorio» della Torino emarginata, quello di Mirafiori-Sud. Da quell’esordio, numerosi altri film, sempre corto o mediometraggi, tra cui “Il potere dev’ essere bianco e nero”, su certi eccessi del tifo sportivo, “Ragazzi di stadio”, realizzato per la Rai e per il Comune di Torino; “Ritratto di un piccolo spacciatore”, prodotto da «I Cammelli», una piccola società di distribuzione e produzione, creata da Segre con Riccardo Caidara, dalla quale è nato il primo lungometraggio a soggetto, appunto, “Testadura”. Conosciuta la notizia dell’invito veneziano, ho raggiunto il giovane regista, telefonicamente, in un paesino vicino a Pisa. «Sì, sono felicissimo. Quando ho ricevuto il telegramma di Rondi, non stavo più nella pelle — mi ha subito detto —. Per me è molto importante portare il mio primo film a Venezia. Certo, è tutto torinese, girato a Torino, in 16mm, a colori e con interpreti, oltre a me, tutti alla loro prima esperienza cinematografica, e tutti di Torino, come Rosanna Lavarino, Massimo Aymone, Sonia D’Ambrosio, Paola Poncino e altri ancora. Inoltre è veramente un film a basso costo. è costato infatti poco più di cento milioni. Per me e per tutti quelli che ci hanno lavorato, è stata come una grossa scommessa di coraggio. L’essenziale, in questi casi è avere la testa dura; e noi l’abbiamo avuta!».
Del film si riparlerà certamente dopo Venezia. Per ora, molto in breve, mi ha detto Segre che racconta una «storia difficile, una storia dentro la città, dove gli ideali comuni si frantumano nelle nevrosi del quotidiano.