Stefano Andreoli /DM 146/147/settembre-dicembre 2002

Presentare in poche righe Clara Sereni è davvero arduo: narratrice ed editorialista, da decenni impegnata in politica e nel mondo associazionistico e, secondo una sua stessa definizione, “madre handicappata”.

Percorsi ed esperienze che nella vita privata e professionale di Clara finiscono quasi sempre per intrecciarsi. A partire dalla propria vicenda familiare (il figlio Matteo, oggi ventiquattrenne, è psicotico dalla nascita), riportata in forma di resoconto nel volume collettivo Mi riguarda (1994) e in forma “culinaria” nel romanzo Casalinghitudine (1987). Una lotta lunga vent’anni, dentro e fuori le mura di casa, che ha consentito a Matteo, e ad altri come lui, di poter dire “Sto lavorando”, come ben testimonia l’omonimo documentario di Daniele Segre, di cui abbiamo parlato in DM 136. Un impegno condotto attraverso l’AURAP (Associazione Umbra Ricerca e Assistenza Soggetti Psicotici) e con la Fondazione “La Città del Sole”, da lei stessa presieduta.

Anche Passami il sale, libro uscito nell’aprile del 2002, è nato da una (sofferta) esperienza come vicesindaco e assessore alle Politiche Sociali nel Comune di Perugia dal 1995 al 1997: non un diario, ma un romanzo ironico, caustico e amaro, in cui la protagonista e autrice mette in gioco tutta se stessa: l'”ingenuità” nei confronti del potere, l’essere donna in bilico tra riunioni di giunta e bucati da stendere, la progressiva ghettizzazione da parte dei professionisti della politica, le paure, i progetti portati avanti con caparbietà.

Ma non è solo autobiografia la narrativa di Clara Sereni, che pubblica anche i volumi di racconti Manicomio primavera (1989) ed Eppure (1995) e la raccolta di interventi Taccuino di un’ultimista (1998). Ultimista: ecco una parola inventata quasi per caso da Clara Sereni che potrebbe diventare la definizione comune di tutti coloro per cui l'”impegno” a favore degli “ultimi” non si riduce ad un semplice gesto d’altruismo, ma sottende un progetto di cambiamento sociale a partire dal basso, senza dividere, al di là del diverso contesto, un piccolo produttore di caffè del Terzo mondo da un informatico precario della new economy, oppure la lotta degli omosessuali da quella dei disabili per la conquista e il rispetto dei diritti civili.

(S.A.)

Lei appartiene alla generazione che ha le proprie radici nel Sessantotto, un’epoca in cui si sosteneva che “anche il privato è politico”. E’ questa una delle ragioni che l’hanno spinta a rendere pubblica – tramite il film di Daniele Segre Sto lavorando e tramite una parte dei suoi scritti – la sua vicenda familiare?

Certo, l’esperienza del Sessantotto – ma anche quella del periodo che l’ha immediatamente preceduto – è stata per me costitutiva. Ma cercando di rintracciare l’elemento che più mi ha portato alla scelta di cui lei parla, forse la cosa che mi viene in mente è un vecchio ma non invecchiato slogan del femminismo, l’idea che “il personale è politico”. Un’idea che però sta dentro la maturazione di un percorso genitoriale, dalla vergogna di aver procreato un “prodotto imperfetto” alla coscienza del diritto, per chiunque, ad una vita degna di essere vissuta.

Matteo sta continuando a lavorare?

Sì, e con risultati abbastanza soddisfacenti di autonomia, di consapevolezza di sé, di dignità complessiva. Purtroppo la Cittadella di Assisi ha deciso, per sue ragioni, che l’esperienza si concluderà a fine anno, ma la Fondazione “La Città del Sole” ONLUS, di cui sono presidente, si sta attivando per individuare per lui, come per altri, una nuova opportunità di lavoro.

Vorremmo chiederle un sintetico bilancio dei primi quattro anni di attività della Fondazione “La città del sole” e un accenno a eventuali future iniziative.

La Fondazione si occupa prevalentemente di disabili psichici e mentali gravi e medio-gravi, per i quali costruisce sia progetti di vita sulle ventiquattr’ore – dunque con una presa in carico complessiva – sia singole opportunità di integrazione, allargate ad un arco più ampio di utenti. Sul versante dei progetti di vita, riteniamo un grande successo il fatto di aver ottenuto una prima convenzione con il settore pubblico: questo dopo molta fatica, e grazie a una disponibilità nuova degli Enti, visto che i nostri progetti sono totalmente “senza muri”, dunque non assimilabili a modelli preesistenti come case-famiglia, appartamenti protetti ecc.

Per il resto, continua a svilupparsi l’attività della country-house “La Città del Sole”, aperta al turismo di tutti, ma con una particolare attenzione all’accoglienza, ai programmi e alle attività dei disabili, di cui la Fondazione cura il coordinamento e la supervisione. In questa direzione, e grazie alla collaborazione di un cospicuo gruppo di volontari e volontarie, la Fondazione ha realizzato, per il secondo anno consecutivo, il Merendanzo!, una giornata di eventi e di cibo in cui le diversità di ciascuno degli intervenuti (anche di quelli che si considerano “normali”) hanno trovato spazi comuni di divertimento, di cultura, di gioco.

Due suoi libri prendono il titolo da neologismi che lei stessa ha inventato: casalinghitudine e ultimista. Per lei, che cos’hanno in comune la sfera della casalinghitudine e l’impegno dell’ultimista?

Casalinghitudine significa, oltre a molte altre cose, un angolino caldo, un privato che abbia un proprio equilibrio e un proprio agio. Più difficile, ma anche più ricco, quando ricavato attraverso una situazione familiare non facile né comoda. Un privato non chiuso al mondo, che anzi si costituisce come premessa per essere dentro il mondo, per guardare ad esso da quel punto di vista degli “ultimi” che serve, oggi più che mai, per immaginare utopie e cambiarlo.

Durante un convegno su letteratura e handicap, organizzato qualche tempo fa dalla UILDM, uno spettatore ha contestato la scelta del suo racconto Amore, sostenendo che l’incesto è un reato previsto dal codice penale e che comunque il testo gli sembrava fuori luogo rispetto al tema dell’incontro. Se fosse stata presente, cos’avrebbe risposto?

Che staremmo freschi, se togliessimo dalla letteratura tutti i reati previsti dai codici… Delitto e castigo, Fedra, Macbeth, tutto eliminato? Non scherziamo: penso che la letteratura possa essere uno strumento utile, talvolta più di un saggio, per esplorare le pieghe dell’anima, proprio quelle che a nessuno di noi fa piacere percorrere e che pure ci attraversano.

La sua scrittura è una ricerca sulla molteplicità dei linguaggi extraverbali femminili (la cucina, l’abbigliamento, la cura di sé ecc.) che lei stessa ha definito “la lingua perduta delle donne”. A suo parere, non c’è contrapposizione tra il recupero della dimensione “casalinga” e la lotta delle donne per ottenere un grado più elevato di emancipazione e di diritti?

Non penso che quei linguaggi siano esclusivamente femminili, anche se le donne sono certamente più raffinate nell’utilizzarli. Per questo penso che utilizzarli, metterli in evidenza, dar loro valore non sia in contrasto con le lotte di cui lei parla, ma anzi sia uno strumento formidabile affinché le donne riescano ad elaborare proprie modalità, non limitandosi a invidiare e a copiare modelli maschili.

Dalla subalternità alla macchina burocratica all’impossibilità di provvedere alla maggior parte delle richieste dei cittadini, dallo sforzo per introdurre maggiore trasparenza nei metodi di governo alle dimissioni: il quadro che emerge da Passami il sale, opera che è il frutto della sua esperienza come vicesindaco e assessore alle Politiche Sociali a Perugia, è a dir poco sconsolante. Da allora come è cambiato il suo rapporto con la politica e in cosa invece la politica dovrebbe cambiare?

Difficile rispondere in poche battute! Ci provo. Per quanto riguarda il mio rapporto con la politica, direi che non è cambiato di molto, salvo la consapevolezza di una necessità di aderenza alla realtà sicuramente assai maggiore di quella che avevo in precedenza.

Quanto a quello che dovrebbe cambiare nella politica, l’elenco è lungo: i tempi della politica e la presenza delle donne in politica, due cose strettamente correlate; la partecipazione dei cittadini, per troppi anni depressa da pulsioni leaderistiche che considero comunque pericolose; i vari sistemi elettorali, tuttora in bilico fra proporzionale e maggioritario; i costi della politica, scarsi di regole che garantiscano davvero parità d’accesso a tutti… e l’elenco potrebbe continuare.

I “girotondi”, la partecipazione agli ultimi scioperi nazionali, i movimenti no global sono i segnali evidenti di un risveglio sociale con cui milioni di persone protestano contro i provvedimenti del Governo Berlusconi, ma anche l’espressione critica di elettori di sinistra e centrosinistra verso l’attuale opposizione e il passato governo. Pensa che i partiti del centrosinistra sapranno cogliere questi segnali?

Lo spero vivamente. La “stagione dei professori” (i quali, in verità, avevano i loro limiti), quando l’incontro con le forze vive della società fu in buona misura un’operazione di facciata, è stata una grande occasione perduta, di cui tuttora portiamo i segni. Oggi mi sembra ci sia una coscienza diversa, da parte della società civile certamente, ma anche – sia pure con qualche visibile fatica – nei partiti.

Recentemente DM ha promosso un dibattito sulla legalizzazione dell’eutanasia e del testamento biologico. Qual è la sua posizione in merito e per quale motivo, secondo lei, nel nostro Parlamento – in cui già negli anni Settanta sono state approvate leggi su aborto e divorzio – non si è ancora giunti a discutere compiutamente queste tematiche?

Gli anni che viviamo sono ben diversi dagli anni Settanta, per mille ragioni: alla grande spinta complessivamente innovativa e progressista di quel periodo fa riscontro molta confusione, e la confusione genera paura. Siamo diventati più egoisti, più chiusi, meno disponibili a qualunque elemento di novità che metta in discussione le piccole sicurezze della nostra vita. La Legge Bossi-Fini è, in questo senso, paradigmatica. Per quanto mi riguarda, più che il dibattito sull’eutanasia vorrei che si sviluppasse quello sulla qualità della vita del malato e del morente, ivi compresa la questione delle terapie antidolore che scontano tuttora, in Italia, il peso di un’idea cattolica della sofferenza come “pegno da dedicare a Dio”, strada maestra verso il Paradiso, percorso di santità e non invece – come io credo – inferno in terra e perdita di dignità.

Ha fatto discutere la proposta di legge di un parlamentare belga per l’istituzione di un fondo di 620 euro al mese, da destinare agli uomini disabili che vogliano visitare prostitute. Che ne pensa?

Curioso, intanto, che ci si riferisca soltanto agli uomini: la visione angelicata dell’handicap, che costringe ad una vita di eterni fanciulli, evidentemente resiste strenuamente rispetto alle donne, ritenute indenni da desideri e pulsioni. A parte questo, mi sembra – di nuovo – che la questione sia quella di una vita degna di essere vissuta, complessivamente, in ogni suo aspetto. Per costruire questa vita servono soldi, più di quelli che mediamente vengono a ciò destinati, e dunque ben vengano tutte le provvidenze economiche che si possono immaginare. Ma separare il tema della sessualità, così complesso e coinvolgente, da tutto il resto, e in primo luogo dall’affettività, mi sembra, in qualche modo, una nuova ghettizzazione, un modo più sofisticato di “far diversi i diversi”, separando le loro esigenze da quelle che appartengono a tutti. Per non dire che il reddito di ciascuno è a sua volta fattore di identità: un disabile portatore di diritti e non di carità, un disabile che sia contribuente e non assistito, potrebbe “scegliere” (metto le virgolette perché ci sarebbe da discutere su quanto la prostituzione sia una scelta per tutti quelli che ad essa si rivolgono), dicevo potrebbe scegliere, senza fondi appositamente stanziati, di incontrarsi con una prostituta.

Articolo tratto da DM 146/147, numero doppio, Settembre/Dicembre 2002. DM è un trimestrale edito dalla Direzione Nazionale dell’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare. La Redazione di DM ha sede in: Via P.P. Vergerio, 19 – 35126 Padova, Tel. (049) 8025248 – Fax (049) 8025249 e-mail: redazionedm@eosservice.com