Dora Siani – Cinecittà Dossier

A tre anni da Vecchie, Daniele Segre torna con Mitraglia e il Verme e sembra aver messo tra parentesi la sua lunga carriera di autore di cinema della realtà. Reduce dal successo ricevuto al Bergamo Film Meeting, Segre cerca ora un distributore per la sua bella e coraggiosa opera, da lui stesso prodotta con I Cammelli. “Non ho tradito la mia passione per il cinema della realtà”, ha sottolineato il regista piemontese, che insegna al Centro Sperimentale di Roma e dirige il Festival di Bellaria con Morandini e Costa. “Ho individuato un modello di finzione che si muove di continuo sul sottile confine che lega e divide il falso dal vero. Stavolta, con Antonello Fassari (Mitraglia) e Stefano Corsi (Verme), due bravissimi attori di teatro della scuola di Ronconi, ho messo a fuoco la realtà dei nuovi poveri, che è la realtà di tutti noi. Il degrado è sempre più culturale e civile, oltre che economico: la gente non viaggia, non esce e resta sempre più speso a casa a guardare la tv. Così, si vive nella realtà della fiction, mentre il reale diventa nebuloso e lontano. Stiamo vivendo il collasso di tutti i nostri sistemi di riferimento. Con il mio cinema indipendente cerco di conservare il diritto alla parola e di non perdere la visione reale delle cose”.
Alla maniera di Beckett, ispirandosi ora a Fassbinder, ora alle denunce antropologiche pasoliniane e alle sue riflessioni sulla borghesia, Segre racconta la storia di due uomini che perdono la dignità, pur essendo presenti tutti i giorni sul loro posto di lavoro. Mitraglia gestisce il traffico ortofrutticolo nei Mercatri Generali di Roma – riprodotti in un teatro di posa – e fa l'usuraio per arrotondare lo stipendio. L'amico Verme, invece, pulisce i bagni, luogo dei loro frequenti incontri, visto che Mitraglia soffre di calcoli renali ed è incontinente.
I due attori sono straordinari e, ripresi con lunghi piani sequenza, offrono l'idea di quello che sta diventando il mondo. Verme, infatti, prima di lavare gli orinatoi, era un borghese sfortunato al gioco dei cavalli, ma ancora ricorda il latino. E' un film che, come ripete spesso Segre, “nasce da un mio profondo sentimento di indignazione e di disagio per il tempo in cui viviamo e al quale occorre ribellarsi”.